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Alimentazione
Caterina Fazion
pubblicato il 21-04-2023

Acrilammide: cosa dice il regolamento europeo?



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Sostanza potenzialmente cancerogena, l’acrilammide si produce durante la cottura di alcuni alimenti amidacei. La Commissione europea sta discutendo sui livelli di riferimento: ecco tutto quello che c’è da sapere

Acrilammide: cosa dice il regolamento europeo?

L’acrilammide è una sostanza chimica che si forma naturalmente nei prodotti alimentari amidacei durante la cottura ad alte temperature. Sta facendo parlare di sé non solo per la sua presunta cancerogenicità, ma anche perché la Commissione europea non si è ancora pronunciata sulla revisione dell’attuale regolamento comunitario che ne indica i livelli di riferimento. Ma che cos’è l’acrilammide? In quali cibi si trova? Quanto è rischioso mangiarla?

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CHE COS’È L’ACRILAMMIDE?

L’acrilammide, come riportato dall’EFSA, è un composto chimico che si forma naturalmente durante la cottura ad alte temperature (frittura, cottura al forno e alla griglia, lavorazioni industriali a più di 120°C con scarsa umidità) di alimenti amidacei. Si tratta di uno dei prodotti della reazione di Maillard, processo che conferisce al cibo quel tipico aspetto “abbrustolito” in grado di rendere ogni alimento immediatamente più gustoso e appetitoso. Sono gli zuccheri contenuti in molti alimenti come cereali, patate e caffè che, reagendo con l’aminoacido asparagina, producono acrilammide.

 

L’ACRILAMMIDE È PERICOLOSA?

L’acrilammide è stata trovata per la prima volta negli alimenti nel 2002, tuttavia, vista la modalità con la quale si origina, è plausibile pensare che esista da sempre, o meglio, da quando l’uomo ha iniziato a cuocere il cibo. Dopo aver condotto un’accurata valutazione dei rischi per la salute pubblica connessi all’acrilammide presente negli alimenti, nel 2015 l’EFSA ha emanato un parere scientifico basandosi su studi condotti su animali.

Il documento conferma le precedenti valutazioni secondo le quali l’acrilammide presente negli alimenti aumenta potenzialmente il rischio di sviluppare il cancro nei consumatori di tutte le fasce d’età. Poiché l’acrilammide è presente in un’ampia gamma di cibi di uso quotidiano, ovvero prodotti fritti a base di patate, caffè, biscotti, cracker, diversi tipi di pane croccante e morbido, l’attenzione deve essere alta per tutti i consumatori. Tuttavia, sono i bambini ad essere più esposti, a causa del peso corporeo ridotto.

Stando ai risultati sugli animali di laboratorio, l’acrilammide contenuta nei cibi viene assorbita dal tratto gastrointestinale, distribuita a tutti gli organi e ampiamente me­tabolizzata. È proprio uno dei suoi principali metaboliti, la glicidammide, a causare problemi come mutazioni nel DNA cellulare aumentando il rischio di sviluppare tumori, ma potrebbe anche avere effetti nocivi sul sistema nervoso, sullo sviluppo pre e post natale e influire negativamente sul sistema riproduttivo maschile. Tutto questo, però, è stato confermato solo sugli animali. Sull’uomo, invece?

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GLI EFFETTI SULL’UOMO SONO CHIARI?

I risultati di studi effettuati sull’uomo forniscono prove limitate e discordanti di un maggior rischio di sviluppare il cancro (al rene, all’endometrio e alle ovaie) in associazione con l’esposizione alimentare all’acrilammide. Gli esperti dell’EFSA hanno con­cluso che occorre effettuare ulteriori ricerche per confermare la validità di tali risultati tratti da studi sull’uomo. Un accresciuto rischio di disturbi del sistema nervoso, invece, è evidenziato da studi su lavoratori esposti all’acrilammide per motivi professionali.

L’acrilammide è considerata un probabile cancerogeno, ovvero un cancerogeno di classe 2A,  sia dagli esperti dell’Efsa sia da quelli della IARC (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Oms). Come tale, non è possibile stabilire una dose giornaliera sicura per la salute, ma si possono stimare degli intervalli di dosaggio oltre i quali è probabile che l’acrilammide causi un effetto misurabile.

 

DOSAGGIO: COSA PREVEDE IL REGOLAMENTO EUROPEO?

Dal 2017 esiste un regolamento europeo che ha fissato dei valori di riferimento per il contenuto di acrilammide per tipologia di alimenti.

Vediamone alcuni:

  • pane morbido a base di frumento: 50 microgrammi per chilo (µg/kg);
  • biscotti e fette biscottate per lattanti e per la prima infanzia: 150 µg/kg;
  • caffè di torrefazione: 400µg/kg

Nonostante i produttori siano invitati a rispettare questi limiti, adeguandosi a protocolli di produzione che riducano la formazione di acrilammide in cottura, attualmente non esiste alcun obbligo. Inoltre, siamo ancora in attesa che la Commissione Europea si esprima circa un’eventuale revisione dei livelli di riferimento esistenti e sull’aggiunta di quelli di altri alimenti che non erano stati considerati nel 2017.

 

COME LIMITARNE LA PRODUZIONE?

Il parere scientifico dell’EFSA del 2015 include una panoramica dei dati e della letteratura scientifica che sintetizza come la scelta degli ingredienti, il metodo di conservazione e la temperatura alla quale il cibo è cucinato possano influire sulla quantità di acrilammide nei diversi tipi di alimenti e quindi sul livello di esposizione alimentare.

  • Scelta degli ingredienti: i surrogati del caffè a base di cicoria generalmente contenevano in media sei volte più acrilammide (3mg/kg) dei succedanei a base di cereali (0,5 mg/kg); i prodotti fritti a base di pasta di patate (comprese patatine e snack) contenevano in genere il 20% in meno di acrilammide (338μg/kg) di quelli ottenuti da patate fresche (392μg/kg); le patate coltivate in terreno povero di zolfo accumulano di solito meno asparagina, e ciò riduce la formazione di acrilamide durante la cottura.
  • Metodo di conservazione: la conservazione delle patate a una temperatura inferiore agli 8° C di solito ne aumenta i livelli di zucchero, il che potrebbe portare a elevati livelli di acrilammide al termine della cottura; mettere in ammollo le fette di patate in acqua o in una soluzione di acido citrico può ridurre i livelli di acrilamide nelle patatine rispettivamente fino al 40% o al 75%.
  • Trasformazione (temperatura e durata): i caffè a tostatura più chiara contenevano generalmente più acrilammide di quelli a tostatura media o scura (cioè tostati più a lungo), il che può aumentare l’esposizione media del 14%; test effettuati da produttori e organizzazioni dei consumatori indicano che di solito le friggitrici ad aria calda producono oltre il 30-40% di acrilammide in più rispetto alle normali friggitrici a olio; la temperatura di solito aumenta i livelli di acrilammide nelle patate fritte più del tempo di cottura; la frittura sopra i 175 ° C può portare a un notevole aumento dei livelli.
  • Cucina casalinga: la preferenza dei consumatori per patatine fritte croccanti e marroni e altri prodotti fritti a base di patate può aumentare l'esposizione alimentare media del 64% (per i forti consumatori anche dell’80%); tostare il pane per cinque minuti invece di tre può aumentare il contenuto di acrilammide da 31μg/kg fino a 118μg/kg, a seconda del tipo di pane e temperatura del tostapane. Il consumo di pane ben abbrustolito, tuttavia, aumenta l'esposizione alimentare media complessiva solo del 2,4%.

In linea generale, essendo di fatto impossibile eliminare completamente l’acrilammide dalla dieta, ricordiamo che è preferibile dorare, e non bruciare, gli alimenti, così come variare le modalità di cottura. Bollire, cuocere a vapore, stufare in padella, al posto di friggere o arrostire, può contribuire a ridurre l’esposizione complessiva dei consumatori.

Seguire una dieta di tipo mediterraneo, ricca in fibre può inoltre contribuire a non far permanere a lungo nell’intestino sostanze potenzialmente dannose non solo per l’intestino stesso, ma per tutto l’organismo.

Per la supervisione del testo si ringrazia la dottoressa Elena Dogliotti, Biologa Nutrizionista e membro della Supervisione Scientifica di Fondazione Umberto Veronesi

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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