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Alimentazione
Donatella Barus
pubblicato il 09-12-2013

Essere obesi non è una colpa



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Lo stigma sociale concorre a peggiorare la qualità della vita e la salute di chi pesa troppo. Un convegno sui diritti delle persone con obesità

Essere obesi non è una colpa

Nessuna pietà per gli obesi? Sembrerebbe così. Additati, guardati con riprovazione, a volte derisi. Mentre il problema dell’eccesso di peso diventa sempre più diffuso, si rafforza lo stigma sociale verso chi ne è affetto, un italiano su 10, secondo gli ultimi dati Istat. E l’effetto è quello di peggiorare non solo il loro benessere emotivo, ma anche quello fisico, compromettendo le possibilità di perdere chili e la loro salute in generale.

IL CONVEGNO - A discuterne sono i massimi esperti italiani e internazionali in occasione del secondo Summit italiano su stigma sociale e discriminazione basati sul peso, organizzato a Milano l’11 dicembre dal Cido, comitato per i diritti delle persone con obesità e disturbi alimentari, con il paternariato scientifico dell’Istituto Auxologico Italiano. «Quando mai i portatori di una patologia sono colpevolizzati a priori per la loro malattia? E’ quello che accade a un obeso» osserva Virginia Bicchiega, nutrizionista e ricercatore dell’ Istituto Auxologico Italiano di Piancavallo (Verbania), nonchè coordinatrice dei rapporti con i media del Cido. «Si tende ad attribuire a chi pesa troppo la totale responsabilità della sua condizione, ma è un errore non solo morale, anche scientifico. Perdere peso non è solo una questione di buona volontà, ma di cure appropriate».

I DANNI DEL PREGIUDIZIO - Al convegno partecipa in collegamento dagli USA anche Rebecca Puhl, psicologa del Rudd Center della Yale University, cui si devono i dati più interessanti sugli effetti sociali e sanitari dello stigma sugli obesi: non solo non è di stimolo a perdere peso, ma anzi rappresenta una minaccia per la salute, una fonte di diseguaglianze e compromette gli sforzi per contrastare l’obesità. Chi subisce il pregiudizio riesce meno di altri a dimagrire, è più esposto a disturbi psichici e fisici, evita di sottoporsi a controlli. Basti pensare che recentemente in Gran Bretagna lo stesso Nice (National Institute for Health and Care Excellence) ha diffuso delle raccomandazioni rivolte ai medici per migliorare l’assistenza alle persone obese. Fra l’altro, si raccomanda di usare toni rispettosi e non denigratori, di fare il possibile per rendere accessibile lo studio e l’ambiente, di fornire informazioni realistiche su quanto peso il paziente può perdere, o quanto aumento di peso futuro può prevenire.

PERCHE’ ESSERE OBESI NON E’ UNA COLPA - Il messaggio prevalente è che si è grassi perchè non ci si sa misurare con l’alimentazione e non si ha voglia di fare movimento. Anche i benintenzionati appelli alla vita sana, a lungo andare, finiscono per consolidare l’idea che il peso corporeo sia solo questione di autocontrollo. Chi si occupa di cura dell’obesità sa che così non è. «Gli obesi gravi sono definiti come coloro che hanno un indice di massa corporea, o BMI, di almeno 40 kg/m2» spiega Virginia Bicchiega. Ad esempio, una donna alta 1,65 che pesa 110 chili. «Queste persone vanno considerate malate, non golosi incapaci di contenersi. Stiamo scoprendo sempre più il ruolo della biologia e della genetica, accanto a quello del comportamento. Un esempio reale? A cinque anni pesare 80 chili non vuol dire avere mangiato troppo, ma essere nati con una predisposizione all’accumulo di cellule adipose. Quanta responsabilità si può dare a un bambino così? L’obesità – prosegue - è data dal numero di cellule adipose, che si consolida prima dei 12 anni. Probabilmente c’è un quid genetico, a cui si sommano fattori ambientali, abitudini alimentari e motorie scorrette. In altre parole, non ci sono buoni o cattivi, ci sono persone che accumulano cellule adipose in maniera esponenziale senza necessariamente lasciarsi andare agli stravizi».

SPEZZARE IL CIRCOLO VIZIOSO - E dimagrire non è semplice. «Si ritiene un successo se il paziente perde il 10% del peso e se riesce a mantenerlo per almeno un anno. Il nostro metabolismo dall’età della pietra è prediposto ad “allarmarsi” se perdiamo peso, si innescano meccanismi di compensazione, per cui il peso perso, perlopiù massa magra, viene sostituito da tessuto adiposo, da cellule che consumano meno energia, a parità di introito alimentare. Inoltre – aggiunge la nutrizionista – va detto che l’obesità è ormai un problema legato alle classi meno abbienti, che sempre meno si possono permettere una dieta ricca di frutta, verdura e proteine».

DIRITTI DEI PAZIENTI - In occasione del Convegno si parlerà anche del riconoscimento legislativo dell’obesità come malattia. «Oggi i pazienti in eccesso ponderale non hanno diritto al ricovero in una struttura specializzata, a meno di complicanze gravi – conclude Virginia Bicchiega -. Se il paziente non arriva all’infarto o alle ulcere da diabete non è considerato malato. Chiediamo che possa essere ricoverato e curato, e che abbia accesso ai farmaci – i pochi che ci sono – per il trattamento dell’obesità».

Donatella Barus
@donatellabarus

Donatella Barus
Donatella Barus

Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.


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