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Alimentazione
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 10-05-2022

Obesità: perché è così difficile perdere peso?


Tag:

obesità

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Solo un quarto delle persone con obesità che prova a perdere peso ha successo, dice uno studio europeo. I meccanismi da capire e i consigli utili

Obesità: perché è così difficile perdere peso?

Tre persone con obesità su quattro hanno tentato di perdere peso senza successo. È ciò che è emerso da uno studio condotto a livello europeo e presentato durante il Congresso Europeo sull’Obesità che si è appena concluso a Maastricht. Inoltre la ricerca rileva che solo il 25% delle 1.850 persone obese che ha partecipato allo studio ha raggiunto una perdita di peso clinicamente significativa (ovvero pari almeno al 5% del peso). La ricerca è stata guidata dal dietologo ed endocrinologo Marc Evans dell’University Hospital di Cardiff (UK) e da Jonathan Pearson-Stuttard, responsabile dello scomparto sanitario della società di consulenza Lane Clark & Peacock LLP di Londra, in collaborazione con un gruppo direttivo di esperti internazionali e con il contributo economico del Novo Nordisk, azienda danese produttrice di farmaci per il diabete e l’obesità. Ha coinvolto partecipanti da sei paesi europei, compresa l'Italia. 

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

OBESITÀ PROBLEMA COMPLESSO

I dati dell'indagine sono una conferma di quanto sappiamo da ricerche precedenti, secondo Gianluca Castelnuovo, professore Ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università Cattolica di Milano e responsabile del Servizio di Psicologia Clinica all’IRCCS Istituto Auxologico Italiano-Piancavallo, uno dei principali centri europei per la cura dell’obesità. «Proverbiali a questo proposito sono le parole di Albert J. Stunkard, psichiatra e studioso della ricerca clinica dell’obesità e dei disturbi dell’alimentazione: “Tra tutti i pazienti con obesità, la maggior parte non inizierà neppure un trattamento; tra quelli che ne cominceranno uno, la maggior parte non lo porterà a termine; tra quelli che lo termineranno, la maggior parte non perderà peso; tra quelli che ne perderanno, la maggior parte lo recupererà rapidamente”. Risalgono al 1959, ma sono tuttora validissime. Ciò non significa affatto voler gettare nello sconforto coloro che sono affetti da obesità, ma comprendere dinamiche complesse che non si possono affrontare con superficialità».

L’OBESITÀ È PRIMA DI TUTTO UN PROBLEMA CRONICO

Perchè dimagrire è così difficile? «La ragione principale dell’insuccesso delle strategie che si mettono in atto per perdere peso sono le resistenze della nostra fisiologia e del nostro cervello» spiega Castelnuovo. «Quando una persona in sovrappeso o con franca obesità si costringe a svolgere attività fisica o si sottopone a una dieta ferrea, inevitabilmente, dopo un po’ di tempo variabile a seconda dell’individuo e della situazione, si innescano meccanismi che “sabotano” le decisioni iniziali perché non sono attuabili sul lungo periodo. Si deve dunque partire dal presupposto che l’obesità è un problema cronico. Non è quindi l’intervento estemporaneo quello risolutivo. Anzi, si rischia una sorta di effetto boomerang per due ragioni: una forte resistenza determina spesso un atteggiamento contrario e quindi, dopo una dieta rigorosa, il rischio è quello di cadere nella trappola di un desiderio compulsivo di cibo; inoltre il nostro corpo talvolta recupera il peso perduto con gli interessi perché tende a ritornare alla situazione di equilibrio precedente».

FARE LEVA SU MOTIVAZIONI PROFONDE E PERSONALI

Quale dunque l’approccio più sensato? «Pensare che siamo esseri razionali ma anche fortemente emotivi - prosegue Castelnuovo - e che le nostre decisioni più profonde sono guidate da passioni e desideri. E questo c’entra moltissimo con la nostra perseveranza nel seguire in maniera costante stili di vita che ci permettano di stare meglio e, nel caso specifico, di perdere peso. Concretamente questo vuol dire: conoscere il paziente e aiutarlo a cucirsi addosso delle motivazioni che lo aiutino ad alimentarsi in maniera più funzionale e a svolgere con regolarità attività fisica. È un obiettivo ritenuto veramente importante a livello profondo da parte della persona che il medico ha di fronte, quello che deve guidare lo specialista nel suo dialogo con il paziente». Un esempio concreto? «Motivare un padre che vuole giocare a calcio con il proprio figlio, ma fa fatica o è impossibilitato a causa del suo peso eccessivo - racconta Castelnuovo - è sicuramente un messaggio molto più efficace del tentativo di trasmettere in astratto i benefici dell’attività fisica. Questo vale anche per l’alimentazione: conoscere le abitudini e i gusti del paziente e stabilire piccoli obiettivi è sicuramente più produttivo di lunghe filippiche su diete eccessivamente restrittive che è meglio non chiamare neppure tali. Già il termine “dieta” prospetta infatti rinunce e difficoltà, meglio dunque usare un linguaggio vissuto come meno sacrificante, come stile alimentare, e partire dal presupposto, valido in genere a livello psicologico, che i cambiamenti davvero possibili sono quelli molto graduali».

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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