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Cardiologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 08-12-2020

Pandemia a due facce: decessi in aumento non solo per Covid-19



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A far crescere i decessi sono state anche cause diverse (ma collegate) da Covid-19. Nella seconda ondata vittime in aumento anche al Centro e al Sud

Pandemia a due facce: decessi in aumento non solo per Covid-19

Fino a oggi, in dieci mesi, il Covid-19 è costato la vita a oltre 60mila italiani. Questo è il dato - ufficiale e provvisorio - che assieme ad altri viene aggiornato ogni pomeriggio dopo le 17. Ma i decessi legati in maniera diretta o indiretta della pandemia provocata dal virus Sars-CoV-2 sono in realtà molti di più. C’è una quota di persone decedute a causa delle complicanze dell’infezione e mai intercettate. E una parte di vittime «indirette», colpite da (o già alle prese con) altre malattie e non messe nelle condizioni di curarsi durante l’emergenza sanitaria. Non contagiati, ma le cui condizioni si sono aggravate: fino alla morte. Sul totale dei decessi in più conteggiati durante la prima e più violenta ondata, quanti rientrano nei numeri ufficiali? Meno della metà (43.5 per cento). Questo vuol dire che, vista l’eccezionalità dell’evento in corso, pure la restante quota di vittime in eccesso è da ricondurre alla pandemia


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L’IMPATTO DEL COVID-19 SULLA POPOLAZIONE ITALIANA  

In un Paese che fino a pochi mesi fa veniva celebrato per il tasso di longevità della sua popolazione, Covid-19 si è abbattuto come uno tsunami: a partire dagli anziani (l’età media delle vittime è 80 anni). Secondo l’Istat, fino al 31 agosto, in Italia si sono registrati oltre 475mila decessi: quasi 38mila in più rispetto a quelli attesi sulla base di una stima tracciata tenendo conto delle persone scomparse lungo la Penisola tra il 2015 e il 2019. Un incremento che corrisponde all’8 per cento e che è destinato (almeno) a raddoppiare entro la fine dell’anno. Ma che secondo gli esperti è comunque sottostimato. A confermarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Public Health, secondo cui (tra marzo e aprile) il tasso di mortalità è in realtà più che raddoppiato (+109 per cento). Questo è il dato medio nazionale, che da una parte vede le statistiche delle Regioni del Mezzogiorno (pressoché analoghe a quelli degli anni precedenti) e dall’altra fa registrare il primato dei Comuni più colpiti dalla prima ondata di Covid-19: con numeri cresciuti anche del 600 per cento in alcune aree del Nord Italia. Questo lo «scarto» rilevato partendo dagli unici due dati inconfutabili: il numero totale dei decessi e il dato relativo a quelli determinati da infezioni da Sars-CoV-2 documentate. 

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MORTI IN ECCESSO NON SOLTANTO PER COVID-19 

Come motivare la differenza tra i numeri ufficiali e quelli ritenuti invece più plausibili? Due le possibili ragioni. Da una parte ci sono le persone scomparse a causa della Covid-19 senza che l’infezione sia mai stata accertata. Una situazione tutt’altro che rara a cavallo tra febbraio e marzo, quando i tamponi scarseggiavano e i test venivano di fatto riservati ai pazienti ricoverati in ospedale. Nel frattempo, però, in molti sono morti a casa e nelle Rsa con sintomi riconducibili alla malattia provocata dal nuovo coronavirus. I loro nomi non compaiono nei bollettini ufficiali, ma nella maggior parte di questi casi si tratta di pazienti deceduti con Covid-19. A pesare altrettanto, se non di più, sarebbe però il numero di persone che hanno perso la vita non a causa della malattia da coronavirus. Questa è l’ipotesi esplorata attraverso un modello matematico sviluppato per valutare l’entità delle vittime in eccesso dovute alla Covid-19. «Da cui si evince che una quota consistente di morti in eccesso sia dovuta al mancato accesso alle cure per altre malattie», dichiara Anna Odone, ordinario di igiene all’Università di Pavia e prima firma della pubblicazione: curata assieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche e all'Università Vita-Salute San Raffaele. Una contingenza che, a detta degli esperti, è divenuta realtà attraverso la scelta di non recarsi in ospedale per paura del contagio e la soppressione di visite e interventi non urgenti per lasciare spazio all’assistenza ai pazienti contagiati. L’ipotesi necessita di ulteriori conferme. Ma al momento trova il supporto dei dati preliminari riguardanti le vittime di infarto e arresto cardiaco.  


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IN LOMBARDIA I NUMERI PEGGIORI 

A pagare il prezzo più alto è stata la Lombardia, all’interno della quale ricade il 90 per cento dei Comuni che, a livello nazionale, han registrato un incremento di mortalità assoluta superiore al 400 per cento. Nella regione per prima colpita da Covid-19, nel corso della fase più intensa della prima ondata pandemica (1 Marzo-15 Aprile), sono stati stimati all'incirca 21.600 decessi in più rispetto a quelli attesi per il periodo (ricorrendo al confronto con gli anni 2015-2019). Tra questi rientrano quelli di 11.400 persone che hanno ufficialmente perso la vita a causa del Covid-19. E le altre 10.200 vittime? Fanno parte di quella quota di decessi «extra» registrati nei confini regionali nel periodo in cui la pandemia ha raggiunto la massima intensità. La tempesta generata dall'emergenza infettiva ha determinato dunque un incremento anche di morti «indirette». Dovute a cosa, al momento, non è dato saperlo. Ma un legame con Covid-19 è tutt’altro che da escludere. L’ultimo studio svela anche quali sono stati i quattro Comuni più funestati d’ Italia: Nembro (+810 per cento di decessi rispetto all'atteso), Alzano Lombardo (+808 per cento), Albino (+685 per cento) e Ponte San Pietro (+590 per cento). Ovvero il cuore della Val Seriana, dove quasi 1 abitante su 2 è entrato in contatto con il virus.

INDICAZIONI UTILI PER IL FUTURO  

«Questi dati evidenziano come, per effetto del lockdown messo in atto il 9 marzo, la prima ondata abbia avuto una natura locale, sfiorando appena gran parte del Centro e del Sud Italia», conferma Odone. «L’eccesso di mortalità dà la misura dei decessi che avrebbero potuto essere previsti ed evitati - spiega Gianluca Baio, docente di statistica medica ed economia sanitaria all’Imperial College di Londra e coordinatore di una ricerca pubblicata sulla rivista Plos One, per indagare la distribuzione dei decessi tra le varie Regioni nel corso della prima ondata -. Con una migliore programmazione sanitaria, potenzialmente, molte di queste vite avrebbero potuto essere salvate». Un monito da tenere bene in mente, ora che si è nel pieno della seconda ondata e che si ragiona su come allentare le misure di contenimento a partire da gennaio.


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SECONDA ONDATA DIFFUSA LUNGO LO STIVALE

In Italia, da settembre a oggi, sono morte oltre 34mila persone. A differenza della prima ondata, però, durante l’autunno, la distribuzione dei casi e dei decessi per Covid-19 è stata più omogenea sul territorio nazionale. «Negli ultimi giorni abbiamo visto dati di mortalità più elevati anche perché adesso per Covid si muore anche anche al Centro e al Sud», precisa Graziano Onder, responsabile del dipartimento malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e dell’invecchiamento dell’Istituto superiore di sanità, che realizza i report sulle morti per Covid. L’ultimo pubblicato racconta che, nella prima metà di novembre, nei Comuni del Nord osservati ci sono stati il 75 per cento in più dei morti rispetto a quelli che ci si aspettavano. Nel resto del Paese, invece, il 46 per cento. Ma durante le fasi più dure della prima ondata, i numeri erano i seguenti: 72 (al Nord) e 10 per cento. È quindi soprattutto quanto sta accadendo nel Centro-Sud a far crescere le morti inattese nella seconda ondata. 


Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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