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I nostri ricercatori
Agnese Collino
pubblicato il 16-07-2018

Quel collegamento tra sindrome di Down, Alzheimer e diabete



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L’insulino-resistenza, tipica del diabete di tipo 2, è frequente nelle persone con sindrome di Down e predispone all’Alzheimer: Antonella Tramutola mira a chiare come questo fenomeno si manifesta nelle persone con Sindrome di Down

Quel collegamento tra sindrome di Down, Alzheimer e diabete

La sindrome di Down è una malattia genetica causata dalla triplicazione del cromosoma 21, e associata a un quadro clinico caratterizzato da alterazioni cardiache congenite, tendenza all’ipotiroidismo, un ridotto metabolismo e complicanze di tipo neurologico. Tra queste c’è la progressiva perdita delle capacita di apprendimento e di memorizzazione, che sembra legata ad alterazioni molecolari tipiche della malattia di Alzheimer: l’accumulo di proteina ß amiloide e una condizione di ridotta efficienza (in questo caso a livello cerebrale) dei meccanismi in cui è coinvolta l’insulina, nota come insulino-resistenza. Quest’ultima, a sua volta, è una manifestazione tipica del diabete mellito di tipo 2, che infatti presenta un’alta incidenza nella sindrome di Down ed e? un fattore di rischio per l'Alzheimer. Fra i ricercatori finanziati dalla Fondazione Umberto Veronesi c’è Antonella Tramutola, che lavora all’Università La Sapienza di Roma. Antonella punta a studiare, su un modello animale, la disfunzione dei meccanismi legati all’insulina nelle persone affette da sindrome di Down, per successivamente identificare molecole ad azione farmacologica 

Un progetto su un modello animale, ma che potrebbe avere ricadute importanti per la salute umana.

«Negli ultimi anni numerosi studi epidemiologici e clinici hanno dimostrato che esiste un collegamento tra nutrizione e funzioni cerebrali. Non a caso sindrome metabolica, diabete ed obesità sono considerate patologie che aumentano il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative. Alla luce di questo, comprendere quali meccanismi s’innescano specificamente a livello del sistema nervoso centrale di un modello animale, potrebbe fornire le basi per una migliore comprensione dei meccanismi alla base del declino cognitivo legato alle malattie metaboliche»


Antonella, tu ti sei già trovata per due volte a fare ricerca all’estero, giusto?

«Esattamente. Grazie al progetto Erasmus nel 2006 ho trascorso sei mesi all’Università di Helsinki, dove ho svolto la mia tesi di laurea. Desideravo iniziare a lavorare nell’ambito delle neuroscienze, e lì c’era un ottimo centro: è stata un’esperienza meravigliosa. Inoltre dopo il dottorato ho trascorso un anno all’Università del Kentucky: volevo mettermi alla prova con un’esperienza che potesse farmi crescere e rendermi indipendente. Ero incuriosita in particolare dagli Stati Uniti, dai loro laboratori all’avanguardia e soprattutto dallo sviluppo della loro ricerca. Ho potuto frequentare il laboratorio di un professore molto conosciuto nella ricerca sull’Alzheimer: mi ritengo molto fortunata».


Hai qualche episodio particolare che ti sia capitato durante il tuo lavoro?

«Risale proprio al mio periodo trascorso ad Helsinki, dove lavoravo allo sviluppo di un nuovo modello farmacologico per testare l’effetto di alcuni nuovi farmaci sul sistema nervoso. L’organismo modello era la Periplaneta Americana, un tipo di “blatta” meglio conosciuta come Cucaracha. Premesso che ho il terrore verso tutti gli insetti, l’episodio strano vede me in laboratorio trascorrere le prime due ore delle mie giornate a fare training autogeno prima d’iniziare a manipolare l’insetto… è stato terribile! Se non altro, alla fine nella mia tesi c’erano ben tre farmaci caratterizzati. Inoltre il fatto di aver iniziato lavorando su una mia grande fobia, e di non essermi tirata indietro proprio perché la curiosità del risultato andava oltre ogni paura, ha chiarito ogni mia perplessità sul fatto che la ricerca fosse proprio la mia strada».

 

Tu che ne pensi di chi è contrario a posizioni della comunità scientifica per motivi ideologici?

«Questo è un tema davvero difficile da affrontare. Penso che esistano persone con un pensiero fondato su una forte preparazione culturale, che gli permette però di vedere la vita in maniera diversa. Questa categoria di persone va rispettata: sono persone in grado di spiegare perché difendono gli animali, consapevoli comunque del fatto che ancora non esiste un valido modello alternativo per sostituire l’animale. Ci sono poi persone che invece esaltano a tal punto il loro ideale da perdere di vista i principi della conoscenza e sfociare nel fanatismo: questa categoria di persone è difficile da contrastare. In questi casi è necessaria una migliore informazione, ricordando sempre che quando si parla di scienza non bisogna limitarsi a leggere solo il titolo ma tutto l’articolo prima di decidere da che parte stare».

 

Una figura che ti ha ispirato nella tua vita personale e professionale.

«Mia nonna: era una “roccia sorridente”. Mi ha insegnato che paure e difficoltà vanno affrontate sempre con un sorriso, e aveva ragione, perché quel sorriso alleggerisce il peso dei problemi. Aveva 101 anni e ha impastato taralli fino ad una settimana prima di lasciarci. Era davvero forte!».

 

Hai qualche passione a cui ti dedichi nel tempo libero?

«Adoro la musica e mi piace cantare, un tempo era la mia seconda attività: nel 2007 ho vinto una borsa di studio che mi ha permesso di frequentare l’accademia di Mogol a Terni. Ho fatto teatro ed ho partecipato al cinespettacolo “La storia bandita” sul Brigantaggio in Basilicata, diretto da Victor Rambaldi al Parco della Grancia. Faccio sport e adoro la moda e lo shopping… mi piacerebbe vedere un po’ più di “eleganza” anche in laboratorio un giorno!».

 

Con la tua passione per la musica, ti piacerebbe conoscere qualche cantante famoso?

«Lorenzo Jovanotti: vorrei ringraziarlo delle sue “parole fatte musica” che mi hanno risollevata da momenti difficili anche in laboratorio, e dirgli che di fronte all’analisi di un risultato “io penso positivo”».

 

Sei soddisfatta della tua vita?

«Abbastanza, anche se mi piacerebbe avere un po’ di stabilità per crescere una futura famiglia».

 

E se un giorno un tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare ricerca, tu cosa diresti?

«Direi che quella del ricercatore è una vita piena di sacrifici ma allo stesso tempo stimolante e dinamica, e che per perseguirla deve amarne ogni sfaccettatura: risultati positivi e negativi. E non menzionerò il lungo precariato che dovrà affrontare perché spero che la vita del ricercatore, da questo punto di vista, possa cambiare».

 

Agnese Collino
Agnese Collino

Biologa molecolare. Nata a Udine nel 1984. Laureata in Biologia Molecolare e Cellulare all'Università di Bologna, PhD in Oncologia Molecolare alla Scuola Europea di Medicina Molecolare (SEMM) di Milano, Master in Giornalismo e Comunicazione Istituzionale della Scienza all'Università di Ferrara. Ha lavorato nove anni nella ricerca sul cancro e dal 2013 si occupa di divulgazione scientifica


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