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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 30-06-2015

Allo studio i probiotici per battere la stanchezza cronica



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A Pavia un esperimento pilota che punta sui batteri intestinali contro una malattia invalidante e ancora in parte misteriosa

Allo studio i probiotici per battere la stanchezza cronica

«La cosa più dura della mia malattia, che mi ha distrutto la vita negli ultimi otto anni, è che nessuno ci crede. Dicono che, sì, sono stanca cronica, ma per la voglia di non far niente; chi mostra sensibilità pensa io sia depressa. E non è così». Nelle parole di Arianna, pubblicitaria milanese di 49 anni, il dramma di una malattia che non trova pieno riconoscimento. Tanto che a livello di chi “ci crede” e la studia, il problema incombente è cambiarle nome dopo che ne ha acquisito uno soltanto nel 1988: in Italia si pensa di usare l’espressione “disturbo di fatica cronica”, traducendo alla lettera il fatigue della denominazione anglosassone che, a sua volta, in America il National Institute of Medicine propone di sostituire con “systemic exertion intolerance disease”, cioè Malattia sistemica di intolleranza allo sforzo.

Il fatto è che quella denominazione di Disturbo di stanchezza cronica si è prestato troppo alla derisione, alla banalizzazione, all’irriverenza di quanti – e non solo tra il vasto pubblico – ha bollato e bolla quella condizione medica come inesistente. Del resto, lo sfinimento che non conosce sollievo dal riposo non ha (ancora) un marker per la diagnosi. «In quasi tutti i soggetti ci sono alterazioni infiammatorie e immunologiche che sono comuni al processo infiammatorio cronico tipo l’influenza», spiega il professor Giovanni Ricevuti, docente di Medicina interna all’Università di Pavia, dove ha costituito un gruppo di ricerca su questo «strano» (lo definisce anche lui) disturbo. «Alcune condizioni cliniche, tipo infezioni, stress, fatiche, farmaci, possono indurre una condizione biochimica a catena che dà infiammazione e, in conseguenza, la grande astenia», prosegue. «Ma di questa catena si sta cercando di capire il primum movens. La causa prima».


Un'infezione virale dietro la sindrome da stanchezza cronica?


IL MICROBIOTA

Ricevuti col suo gruppo punta sull’intestino, su quel microbiota di cui si parla sempre di più e che è l’insieme dei batteri che vi abitano. «Attorno all’intestino», come ricorda una sua collaboratrice, la dottoressa Chiara Cusa, «ruota l’80 per cento del sistema immunitario ed è il luogo in cui l’organismo si interfaccia con l’esterno. Inoltre, non si dimentichi che ha un’estensione di duecento metri quadri». Il professor Ricevuti guida una ricerca pilota con l’impiego di probiotici. Una somministrazione per bocca di tre mesi. «Miglioramenti si sono osservati nel 56 per cento dei malati. Miglioramento del sonno, calo dei valori della Ves e degli altri indici infiammatori, maggior benessere complessivo…».

Il fatto è che il sistema gastroenterico è un tipico bersaglio della malattia, da qui l’idea di partire dal tentativo di agire sui batteri intestinali alterati attraverso l’immissione di batteri “buoni”. «I nuovi microrganismi sono andati a modulare il sistema immunitario e il processo infiammatorio», dice il professor Ricevuti. «Stiamo cercando di individuare uno dei meccanismi della malattia che però è multifattoriale. Ha davvero tante cause». Mentre il disturbo va regalando sempre più indizi alla ricerca senza però uscire dalla nebulosa, crescono le sue vittime: «Sono in aumento i casi infantili, bambini che finiscono per perdere anni di scuola», racconta la dottoressa Cusa. «Spesso dopo un’infezione virale».

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ORIGINE VIRALE?

Questo elemento è comune anche nei casi degli adulti. Spesso c’è stata una mononucleosi o un’influenza. Da qui l’ipotesi di un’origine virale del disturbo di stanchezza cronica o cfs che è una delle più seguite. «E i virus sotto inchiesta sono il virus di Epstein-Barr (quello della mononucleosi infettiva), dell’herpes e gli enterovirus», spiega la professoressa Enrica Capelli, ricercatrice di Biologia sempre all’Università di Pavia. «Alcune cure tentate battono questa pista». «In particolare, in Norvegia un gruppo di ricerca ha utilizzato in doppio cieco il Rituximab, un anticorpo monoclonale (utilizzato anche contro alcune leucemi e linfomi, ndr) ottenendo un effetto positivo in due terzi dei casi. Questo, dopo circa 6-7 mesi di trattamento». A raccontare è il dottor Lorenzo Lo Russo, neurologo all’ospedale Mellino Mellini di Chiari (Brescia) che collabora allo studio pavese.


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I SINTOMI
 E LA TERAPIA (CHE NON C'E')

A lui la descrizione di quanto si sa della malattia: «Intanto lo stato di prostrazione, tipo sindrome influenzale (a volte c’è febbricola) dev’essere persistente: almeno sei mesi». Poi, caratteristiche ricorrenti sono la ciclicità, a volte anche stagionale, alterazione della memoria e della concentrazione, mal di gola, ingrossamento dei linfonodi specie al collo, dolori muscolari e articolari, mal di testa ricorrenti. Molto più colpite le donne: addirittura in un rapporto di 6 a 1 con gli uomini. «Forse c’è un coinvolgimento ormonale», è un’altra ipotesi. Quanto alle cure, non ne esistono di specifiche e risolutive. A seconda dei casi si prova con gli antivirali o antinfiammatori, senza tralasciare un approccio riabilitativo con piccoli esercizi fisici per mantenere il tono muscolare. «Può essere utile anche la psicoterapia cognitivo-comportamentale», aggiunge Lo Russo, «perché col tempo, questa stanchezza invalidante può generare depressione. Ma non è in sé depressione. Anche i tumori spingono l’umore giù, no?».

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LINEE GUIDA E CENTRI

La dottoressa Capelli richiama la grande importanza che ha avuto, e ha, l’Amcfs (Associazione Malati di Cfs) - onlus che in dieci anni ha fatto moltissimo per informare e sensibilizzare su questo disturbo e per coinvolgere le istituzioni. Come? Innanzitutto ottenendo dal Ministero della Salute la creazione di un gruppo di lavoro Age.na.s. (Agenzia nazionale per il servizi sanitari regionali) dedicato a questo problema medico. In seguito al lavoro di questo gruppo di esperti, sono state diramate le “linee di indirizzo Agenas”. I maggiori appigli disponibili per i medici per orientarsi nella nebbia della spossatezza continua. Che nessun ente ufficiale, a cominciare dall’Organizzazione mondiale della Sanità, e le nostre Asl comprese, osa più negare. Centri specifici per seguire i malati di Cfs sono stati creati a Bologna (all’Ospedale Sant’Orsola), a Pavia e a Como.

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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