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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 26-10-2015

Reduci del Vietnam ancora malati di stress post-traumatico



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La resistenza del disturbo sollecita nuovi interventi per gli ex soldati di Iraq e Afghanistan. Ancora sotto choc anche gli italiani vittime del terrorismo

Reduci del Vietnam ancora malati di stress post-traumatico

Quarant’anni dopo la fine della guerra (1975) i reduci del Vietnam che ne erano stati colpiti soffrono ancora del disturbo da stress post-traumatico (Ptsd). Una notizia che getta una luce pesante su questa patologia psichiatrica che è stata individuata proprio osservando i veterani tornati da Saigon disturbati, traumatizzati, fuori dalle regole e dall’autocontrollo, che tanti film, da Taxi Driver (1976) in avanti, ci hanno mostrato. Sarebbero in 271mila a soffrirne, una parte con la sintomatologia piena, una parte con sintomi meno marcati, da disturbo come si dice sotto soglia. In più, un terzo di questi uomini, ormai anziani, sono vessati pure dalla depressione. L’indagine è stata compiuta dal “National Vietnam Veterans Longitudinal Study” e pubblicata su Jama Psychiatry. I ricercatori hanno contattato un campione di quasi 2.400 ex soldati che erano già stati studiati 25 anni fa e trovati malati di Dspt e su questa base hanno fatto i calcoli.

 

I NUOVI REDUCI DALL’IRAQ

Il risultato allarma, scrivono i commentatori, e nello stesso tempo sollecita una presa in carico più ampia e più approfondita dei veterani di guerre attuali e future. Negli Stati Uniti ci sono già leve recenti di reduci dall’Iraq e dall’Afghanistan. Nello stesso tempo si invita a rivedere la definizione del Dspt in quanto fu “modellata” sui problemi manifestati in massa dai militari che erano stati al fronte, mentre nel tempo si è visto che la patologia può colpire in frangenti drammatici della vita civile, come incidenti stradali o terremoti.

 

I GAMBIZZATI ANNI ’70

Letizia Bossini non è colta di sorpresa dalla notizia che arriva dagli Stati Uniti. Lei ha in cura o li ha avuti fino a poco tempo fa le vittime del nostro terrorismo anni ’70-’80, soprattutto gambizzati. «Anche in loro - stessi anni di distanza - il disturbo è vivissimo. Almeno prima della terapia», racconta. «Da noi si sono presentati non molti anni fa perché questo disturbo in Italia non era noto, a lungo si è pensato che riguardasse solo i traumatizzati dal Vietnam, e invece anche uno stupro, anche vedersi morire davanti una persona all’improvviso…».

 

OSSESSIONE FLASHBACK

Il dramma, la tragedia è che il tratto principale del disturbo sono dei laceranti flashback che si accendono, di giorno e di notte, d’improvviso facendo rivivere l’evento traumatico in cui si è stati coinvolti. Il fatto è ancora lì, il rischio vitale è attuale. Una vita spesso d’inferno. Perché “l’inferno” non passaLa dottoressa Bossini, psichiatra all’Università di Siena, ha un ruolo unico in Italia: è referente per l’Osservatorio nazionale per la valutazione e la terapia del danno psico-sociale nelle vittime del terrorismo. «Sono venuti da noi dopo 30 anni che lottavano contro un disturbo così invasivo, senza cure. Con noi sono entrati in una terapia specifica».

E sono guariti? La risposta è cauta: «Oggi si cura, tra guarire e curare…Diciamo che possono rientrare in possesso di una vita piena. Alcune loro testimonianze si possono leggere nel sito dell’Associazione vittime del terrorismo Aiviter». Altri sintomi? «Quando ci raccontano l’evento che li ha cambiati è come se si trasformassero in viso, sono come allora, sono lì, è un presente che vivono. Un presente traumatico. Questi flash angosciosi irrompono spesso nel sonno e loro si svegliano urlando tale e quale allora, il fatto sta accadendo lì in quel momento. Poi evitano ogni cosa che può ricordare loro l’evento. Un signore che era alla stazione di Bologna quando scoppiò la bomba (1980) non solo si tiene bene alla larga da quella città, ma addirittura è andato a vivere all’estero.

 

SENZA PIU’ EMOZIONI

«Altro sintomo tipico è il cosiddetto numbing, una insensibilità, anestesia affettiva, l’incapacità di provare sentimenti. Con interruzioni di scoppi di rabbia enormi. Un’aggressività che ha portato a tante separazioni coniugali. Poi esiste una sorta di ricerca del rischio per ritrovare il controllo. Un nostro soldato che è stato in Afghanistan, grande sportivo di trekking, è andato a cercare un burrone e si è messo proprio sul ciglio, a rischio, non perché intendesse uccidersi, ma era come se quel ciglio lo chiamasse.

Inoltre, quanti soffrono di disturbo post-traumatico vivono sempre in stato di allerta. Le strutture cerebrali cambiano, si è visto con la risonanza magnetica che hanno un ippocampo più piccolo. Però…». Però gli studi non sono sufficienti per dire se quell’ippocampo ristretto è l’effetto del trauma o una predisposizione a restare colpiti dal Dspt (non tutti quanti vivono al fronte poi soffrono di questa patologia). Per ora si può soltanto dire, conclude la professoressa Bossini, che si riscontra una associazione tra il disturbo e certe strutture biologiche cerebrali.

 

DAGLI OCCHI LA “LUCE”

Capitolo terapie. Troppo tardi richiederle 30 anni dopo essere stato gambizzato? «No, non è troppo tardi. Si può ottenere una vita più vivibile, serena. La durata media è di 3-6 mesi, poi ognuno ha i suoi tempi di risposta. Tanti purtroppo abbandonano le cure». Che consistono fondamentalmente in che cosa? «Farmaci e Emdr, una psicoterapia molto efficace basata sul movimento degli occhi O gli uni o l’altra separatamente oppure tutt’e due insieme. In questo caso i risultati sono molto migliori».

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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