La ricerca indipendente migliora la qualità e le prospettive di vita del malato oncologico. In Italia i fondi sono ancora troppo scarsi
Nell'ultimo decennio la ricerca sul cancro ha fatto passi avanti da gigante. Terapie a bersaglio molecolare e immunoterapia hanno rivoluzionato il trattamento di molte neoplasie. Un traguardo possibile certamente grazie agli investimenti delle aziende farmaceutiche ma anche, soprattutto in termini di miglioramento della qualità di vita, grazie al contributo della ricerca accademica non-profit. A tal proposito, uno studio da poco pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Oncology, ha mostrato l'enorme impatto positivo degli studi clinici oncologici supportati da finanziamenti pubblici sia in termini scientifici (citazioni e inserimento in linee guida) sia in termini di anni di vita guadagnati a livello di popolazione.
I PASSI AVANTI NELLA RICERCA SUL CANCRO
Dal 2011 -anno di approvazione di ipilimumab, il primo farmaco immunoterapico della storia- ad oggi l'immunoterapia ha fatto passi avanti da gigante. Grazie ad essa abbiamo capito che con il sistema immunitario è possibile controllare la malattia sul lungo termine. Attualmente l’immunoterapia può essere usata in quasi tutti i tipi di tumore, da sola o in combinazione. Non solo, grazie al progresso nelle tecniche di sequenziamento del DNA del tumore, in questi anni sono state sviluppate terapie a bersaglio molecolare capaci di colpire selettivamente solo le cellule malate. Questi due approcci, uniti alle terapie già in uso, hanno consentito di migliorare notevolmente le cure anti-cancro.
IL RUOLO DELLA RICERCA NO-PROFIT
A questi grandi risultati hanno concorso sia la ricerca profit, quella orientata dalle aziende farmaceutiche, sia quella no-profit, sostenuta dall'accademia grazie a fondi statali e degli enti del terzo settore. Proprio quest'ultima è di fondamentale importanza poiché consente di indagare in maniera più approfondita le migliori strategie per ottimizzare le cure anti-cancro. Gli esempi non mancano, come descritto qui in un nostro recente articolo. Ad oggi però mancava uno studio che stimasse il reale impatto della ricerca no-profit in termini di impatto sociale. A colmare questa lacuna ci ha pensato un'analisi pubblicata su una delle riviste più importanti in campo oncologico, il Journal of Clinical Oncology, avente come obbiettivo il calcolo dell'impatto sociale della ricerca finanziata con soldi pubblici negli USA.
LO STUDIO
Gli autori hanno selezionato gli studi randomizzati di fase III condotti da 4 gruppi cooperativi afferenti al NCTN (SWOG Cancer Research Network, Alliance for Clinical Trials in Oncology, ECOG-ACRIN Cancer Research Group, e NRG Oncology), i cui risultati fossero stati riportati dal 1980 in poi, con un vantaggio significativo a favore del trattamento sperimentale per uno o più endpoint tempo-dipendenti (tipicamente la sopravvivenza globale o la sopravvivenza libera da progressione). Nel complesso, sono stati inclusi nell’analisi 162 trial, per un totale di 108334 pazienti. Tali studi rappresentano il 29.8% del totale degli studi condotti (544). Le neoplasie più rappresentate erano il tumore della mammella (34 studi), i tumori ginecologici (28) e il tumore del polmone (14). Dalle analisi è emerso che nella popolazione generale gli studi no-profit hanno portato a una stima di 14.2 milioni di anni di vita guadagnati nella popolazione statunitense entro il 2020, con una stima per il 2030 pari a 24.1 milioni di anni di vita guadagnati ). Questo guadagno in termini di anni di vita è corrisposto ad un costo in termini di investimento pubblico pari a 326 dollari per anno di vita guadagnato.
IL COMMENTO
«I dati riportati -spiega su Oncotwitting il professor Massimo Di Maio, Segretario Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e Direttore Oncologia dell’Ospedale Mauriziano- ci ricordano quanto sia importante, per il progresso in oncologia, la ricerca accademica. Non c’è dubbio che molte innovazioni corrispondano allo sviluppo clinico di nuovi trattamenti, condotto dalle aziende farmaceutiche, ma anche la ricerca accademica produce risultati positivi, dalla portata tutt’altro che trascurabile. Nell’arco dei decenni presi in considerazione nell’analisi, tanti studi hanno prodotto un risultato significativo, anche in termini di prolungamento dell’aspettativa di vita, e sulla base di questi dati gli autori hanno stimato il beneficio in termini di anni di vita guadagnati».
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Traslare all'Italia quanto ottenuto nello studio sulla realtà statunitense è però complicato per via delle differenti condizioni di partenza. Un dato è però certo: «Purtroppo gli investimenti pubblici per la ricerca in Italia non sono neanche lontanamente paragonabili a quelli della realtà statunitense. La ricerca accademica italiana produce importanti risultati, che vanno doppiamente apprezzati se rapportati agli investimenti. Se alla competenza e alla passione dei nostri ricercatori si unisse anche un adeguato sistema pubblico di finanziamenti, la ricerca italiana probabilmente non sarebbe seconda a nessuno» conclude Di Maio.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.