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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 19-10-2016

Il tumore del polmone si batte anche con l’immunoterapia



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La nuova cura può migliorare anche del 50% la sopravvivenza dei malati con un tumore del polmone. In Italia oltre quarantunomila le diagnosi attese nel 2016

Il tumore del polmone si batte anche con l’immunoterapia

È considerata una delle frontiere più incoraggianti della lotta al cancro. L’immunoterapia, che punta a rafforzare le difese del sistema immunitario contro il tumore, s’appresta a scrivere nuovi capitoli dell’oncologia medica. Dopo essersi affermata nella lotta al melanoma, oggi mostra importanti risultati anche per la cura del tumore del polmone, che nel 2016 colpirà oltre quarantunomila italiani e che resta la prima causa oncologica di morte. Le notizie incoraggianti giungono da Copenaghen, dove si è appena concluso il congresso della Società Europea di Oncologia Medica (Esmo). 


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IL FUTURO DELL’IMMUNOTERAPIA 

Si chiama Pembrolizumab la molecola che si spera contribuirà a riscrivere la storia terapeutica del tumore al polmone. Finora era la chemioterapia la prima opzione per contrastare la progressione della malattia non a piccole cellule (la forma più frequente, che colpisce anche i non fumatori) in stadio avanzato. Già dai prossimi anni, invece, l’approccio potrebbe mutare in maniera radicale per molti malati.

Come si evince da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, condotto su 305 pazienti provenienti da 16 Paesi e affetti da un tumore del polmone non a piccole cellule in fase avanzata, l’immunoterapia a base di Pembrolizumab ha evidenziato risultati migliori rispetto alla chemioterapia.

In particolare, una sopravvivenza di 10,3 mesi rispetto ai sei mesi con gli antitumorali già in uso e una sopravvivenza globale a sei mesi dell’80,2 per cento rispetto al 72,4 per cento. Il tasso di risposte si è rivelato essere più alto nei pazienti trattati con pembrolizumab e gli eventi avversi di ogni grado meno frequenti.

COME SI VALUTA LA SALUTE DEI POLMONI?

PAZIENTI SELEZIONATI 

Requisito affinché il trattamento fosse efficace era l’espressione sulle cellule tumorali della proteina PD-L1, che legando alcuni recettori presenti sulle cellule immunitarie ne inibisce l’azione. Il marcatore è presente nel trenta per cento dei pazienti che si ammalano di tumore del polmone. Ciò vuol dire che questi ultimi, invece di essere trattati con i farmaci a base di platino, potranno passare all’immunoterapia. In questi casi l’immunoterapia si è infatti rivelata efficace nella prima linea di trattamento, ovvero subito dopo la diagnosi. «Aver trovato questo marcatore di selezione molecolare fa si che invece di sottoporre il paziente alla chemioterapia in prima linea, si passi direttamente all’immunoterapia, con un cambio di marcia straordinario nella qualità di vita del paziente», dichiara Fortunato Ciardiello, direttore del dipartimento universitario di internistica sperimentale e clinica alla Seconda Università di Napoli e presidente della Società Europea di Oncologia Medica (Esmo).


Il tumore del polmone prima causa di morte per cancro fra le donne europee


COME FUNZIONA L’IMMUNOTERAPIA?

Il futuro del tumore del polmone potrebbe dunque non più dipendere dall’esito della chemioterapia, ma da un fondamento scientifico completamente diverso. A differenza della prima, con cui si «spara» un farmaco sulle cellule cancerose con l’obiettivo di distruggerle (ma nemmeno in maniera troppo selettiva), l’obiettivo dell’immunoterapia è quello di scatenare il sistema immunitario affinché elimini le cellule cancerose. Da almeno quindici anni si lavora nei laboratori per istruirele cellule che costituiscono la «barriera» del nostro organismo nei confronti delle cellule tumorali. Diversi studi nel passato hanno dimostrato che il sistema immunitario in presenza di cellule tumorali si attiva per cercare di eliminarle. È in questo modo che si punta, come ribadito all’unisono dagli esperti riunitisi in Danimarca, «a fare del cancro una malattia cronica, con cui poter convivere anche per diversi anni».

SISTEMA IMMUNITARIO E CANCRO: IL PRESENTE E IL FUTURO DELL'IMMUNOTERAPIA

DAL MELANOMA AL TUMORE DEL POLMONE 

I successi già ottenuti con l’immunoterapia nei confronti del melanoma si punta adesso a ripeterli con altre neoplasie. E quelle del polmone potrebbero essere le prime. «Siamo di fronte a dati che non si limitano a una significatività solo statistica, ma implicano un impatto concreto nella pratica clinica quotidiana - afferma Silvia Novello, docente associato di oncologia medica all’Università di Torino -. Il 60-70 per cento delle neoplasie polmonari è diagnosticato in fase avanzata di malattia. L’immunoterapia finora aveva mostrato risultati positivi in seconda linea. Ora queste armi dimostrano di essere efficaci in prima linea, quindi al momento della diagnosi, e anche nell’istologia non-squamosa, che rappresenta la grande maggioranza dei pazienti. Il vantaggio per i pazienti è significativo. Se rispondono a determinati requisiti, possono evitare la chemioterapia e aver accesso a farmaci innovativi caratterizzati da una tollerabilità migliore rispetto alla chemioterapia».

LA MEDICINA DI PRECISIONE
NELLA LOTTA AI TUMORI?

ALTRI RISCONTRI NEL TRATTAMENTO IN SECONDA LINEA 

Ulteriori riscontri incoraggianti sono giunti da un altro farmaco, l’Atezolizumab, in grado di prolungare di quattro mesi (rispetto alla chemioterapia) la vita media dei pazienti affetti da un tumore del polmone non a piccole cellule, a cui corrisponde oltre l’85 per cento delle diagnosi effettuate ogni anno nel mondo. Nello studio OAK sono stati coinvolti i pazienti già trattati con uno o più chemioterapici a base di platino (seconda e terza linea). «La ricerca ha dimostrato come tutti i pazienti possano beneficiare di questa terapia - chiosa Federico Cappuzzo, primario del reparto di oncologia medica dell’ospedale di Ravenna -. Avendo dimostrato una significativa efficacia, sia nel carcinoma squamoso sia nel non squamoso, atezolizumab può diventare una terapia standard nel trattamento di seconda linea per questa malattia».

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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