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Ginecologia

Fertilità e tumori: come funziona il congelamento del tessuto ovarico

Sempre più giovani pazienti oncologiche scelgono di preservare la fertilità, grazie a tecniche come la crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico, oggi parte integrante del percorso di cura

Quando una bambina, un’adolescente o una giovane donna riceve una diagnosi di tumore, l’urgenza di iniziare le terapie si accompagna spesso a una domanda fondamentale: potrò avere figli in futuro? È un tema centrale che oggi, grazie ai progressi della medicina riproduttiva, trova risposte sempre più concrete.

IL RUOLO DEL COUNSELING

Chemioterapia, radioterapia e trapianto di midollo osseo possono compromettere in modo serio la fertilità. Per questo motivo, fin dalla diagnosi, è fondamentale impostare una strategia di preservazione. All'Istituto Europeo di Oncologia – racconta il professor Fedro Alessandro Peccatori, Direttore dell’Unità di Fertilità e Procreazione – la sensibilità su questo tema è cresciuta moltissimo: «Dieci anni fa solo il 40% delle pazienti riceveva un counseling riproduttivo. Oggi siamo arrivati all’80%. La maggior parte delle giovani donne, fatta eccezione per una piccola quota non interessata alla maternità, sceglie di informarsi sulla possibilità di crioconservare i propri ovociti».

LA CRIOCONSERVAZIONE DEGLI OVOCITI

La tecnica più comune per preservare la fertilità è la crioconservazione degli ovociti. Prevede la stimolazione ovarica, ovvero la somministrazione di farmaci ormonali che inducono le ovaie a produrre più ovociti del solito. Questi vengono poi prelevati tramite un piccolo intervento e congelati. Tuttavia, la procedura richiede tempo – almeno due settimane – e non è sempre praticabile.

QUANDO SI RICORRE ALLA CRIOCONSERVAZIONE?

In alcune situazioni la stimolazione ovarica non è possibile: è il caso delle bambine in età prepubere, che non hanno ancora un ciclo mestruale, oppure di pazienti che devono iniziare immediatamente le terapie oncologiche. In questi casi si ricorre a una tecnica alternativa: la crioconservazione del tessuto ovarico. «È una procedura che non richiede attese e può essere effettuata in qualsiasi momento del ciclo», spiega Peccatori. Si tratta di un intervento chirurgico in laparoscopia per prelevare parte o tutto l’ovaio. «L’operazione, eseguita in anestesia generale, dura circa un’ora. Può prevedere l’asportazione di un intero ovaio, di metà di uno o di metà di entrambi. Non esiste un protocollo unico: ogni centro agisce in modo leggermente diverso, ma si tratta di variazioni tecniche che non influenzano la salute futura né le possibilità di gravidanza». Il tessuto prelevato viene poi sezionato in fettine sottili e congelato singolarmente in azoto liquido a -196 °C.

ESISTONO LIMITI DI TEMPO?

Non esistono limiti di tempo per la conservazione del tessuto ovarico, ma conta l’età al momento del prelievo. «L’età ideale è sotto i 32-35 anni, perché più giovane è la paziente, maggiore è la quantità e la qualità dei follicoli recuperabili», chiarisce Peccatori. Chi ha affrontato un tumore in età pediatrica può attendere anche molti anni prima di richiedere il reimpianto del tessuto ovarico, che avviene sempre in laparoscopia. Dopo l’intervento, l’attività ovarica può riprendere nel giro di tre mesi. «Nel 50% dei casi si verifica un concepimento spontaneo. Le altre donne potranno ricorrere alla stimolazione ovarica per favorire la gravidanza. Un altro vantaggio del reimpianto è il ripristino della funzione ormonale dell’ovaio, che può evitare una menopausa precoce e l’utilizzo di terapie ormonali sostitutive».

NON SOLO TUMORI

Le indicazioni alla crioconservazione del tessuto ovarico non si limitano ai tumori. «Anche se non esiste ancora un registro nazionale e non abbiamo dati precisi – conclude Peccatori – sappiamo che tra le principali cause ci sono anche alcune malattie ematologiche, come l’anemia mediterranea, o condizioni che richiedono chemioterapia ad alte dosi e trapianto di midollo osseo».

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