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Oncologia
Francesca Morelli
pubblicato il 14-10-2014

Terapie oncologiche in gravidanza? Si può



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Tre studi preliminari hanno dimostrato che curarsi è possibile: senza interrompere la gestazione, ricorrere al parto anticipato o al ritardo "terapeutico"

Terapie oncologiche in gravidanza? Si può

Studi scientifici, anche se su piccoli numeri, rassicurano le donne colpite da tumore del seno in gravidanza: chemioterapia, radioterapia o la ricerca del linfonodo sentinella non arrecano danni al nascituro, anche a distanza di anni. I risultati preliminari su questi importanti trattamenti oncologici sono stati presentati al recente congresso della Società Europea di Oncologia (Esmo), tenuto a Madrid.

 

LA CHEMIOTERAPIA

Si allontana lo spettro di interruzioni di gravidanza, parti anticipati o il rinvio di cure salvavita dopo la nascita del bimbo, indipendentemente dal tipo di trattamento e dal periodo in cui va eseguito. Ma andiamo con ordine. La prima attestazione riguarda il ricorso alla chemioterapia: l’indagine-studio ha riguardato 38 bambini belgi, olandesi e italiani appartenenti al registro International Network for Cancer, Infertility and Pregnancy (INCIP) sottoposti a chemioterapia già in utero della mamma  e 38 bambini venuti al mondo da mamme in buona salute. Obiettivo: trovare eventuali alterazioni nello sviluppo neuro-comportamentale o problemi cardiaci anche a distanza di due anni dalla nascita. Gli esiti sarebbero chiari e non mostrerebbero probabilità maggiori di effetti collaterali da esposizione in un gruppo di bimbi piuttosto che nell’altro.

 

LA RADIOTERAPIA

«La radioterapia è sempre stata controindicata, specie nell’ultimo trimestre di gravidanza – dichiara Fedro Alessandro Peccatori, direttore dell’Unità Fertilità e Procreazione della Divisione di ginecologia oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano –. Ma grazie al miglioramento delle procedure di somministrazione che consentono di proteggere il feto, riducendo le dosi assorbite, questa ipotesi potrebbe essere presto rivalutata, anche se al momento la prudenza è d’obbligo». Infatti i risultati preliminari ottenuti su 16 bambini e dieci adulti (sempre degli stessi tre paesi), valutati con ecocardiogramma, esame neurologico completo, test cognitivi e questionari riguardanti stato di salute e comportamento a un anno e mezzo a tre, a sei e a nove anni, farebbero ben sperare. Nessun danno di tipo cognitivo, a eccezione di un caso, ma  a seguito di una gravidanza particolarmente complessa.

 

LINFONODO SENTINELLA

Il terzo studio belga aveva l’intento di comprendere se la linfoadenectomia ascellare completa, attualmente utilizzata in maternità, potesse essere sostituita dalla biopsia del linfonodo sentinella, metodica routinaria con cui si asporta il primo linfonodo che riceve il drenaggio linfatico dal tumore e che ha maggiori probabilità di contenere cellule tumorali ma che richiede l’inoculazione di un mezzo di contrasto. L’esperimento che ha coinvolto 97 donne, monitorandole per trentacinque mesi, ha fatto però osservare qualche evento negativo (otto recidive loco-regionale, quattro metastasi a distanza e tre esiti nefasti) che tuttavia non precluderebbero, a detta degli esperti, l’utilizzo della metodica, anche in gravidanza. Perché sembrerebbe comunque fattibile e sicura: «La biopsia del linfonodo sentinella, se seguita da una terapia post-operatoria sistemica adeguata, dà risultati equivalenti allo svuotamento del cavo ascellare, ma con il vantaggio di una migliore mobilità del braccio, dolore e parestesie ascellari ridotti e un ricovero più breve. Una possibilità che non andrebbe negata anche alle donne in attesa con un tumore del seno».

 


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