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Oncologia
Caterina Fazion
pubblicato il 03-01-2024

Tumore al polmone: perché si fanno pochi screening?



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Le barriere da contrastare per implementare gli screening polmonari sono diverse: organizzative, psicologiche e informative. Scopriamo le maggiori criticità e le strategie per risolverle

Tumore al polmone: perché si fanno pochi screening?

In Italia, il tumore del polmone rappresenta la più frequente causa di morte oncologica con 35.700 decessi registrati nel 2022, molti dei quali risparmiabili con una maggiore diffusione dello screening polmonare. Come mai, vista la sua importanza ed efficacia nel ridurre la mortalità, è così poco frequente? Cosa fare per implementarne la diffusione?

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A COSA SERVE LO SCREENING?

Lo screening rappresenta una risorsa preziosa per la salute pubblica in quanto, anticipare la diagnosi di tumore significa cambiare radicalmente la prognosi ed evoluzione della malattia, con un impatto rilevante sull’aspettativa di vita e al contempo sui costi sociali dovuti alla perdita di produttività. Proprio per questo sono attivi da tempo, per molte patologie oncologiche, come per esempio il cancro al seno, dei programmi organizzati, promossi dal Servizio Sanitario Nazionale e Regionale, rivolti alle fasce di popolazione più a rischio.

 

LA BARRIERA ORGANIZZATIVA

Diversa è la situazione per il tumore al polmone, dove sussistono significative barriere agli screening. «La barriera principale oggi è senz'altro rappresentata dal fatto che non esiste uno screening per i forti fumatori supportato dal Sistema Sanitario Nazionale e implementato sul territorio», spiega la professoressa Giulia Veronesi, Direttrice del Programma di Chirurgia Robotica Toracica presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele. «C'è quindi un problema di accesso: i forti fumatori, o gli ex forti fumatori, ovvero i soggetti più a rischio, pur avendo la volontà di sottoporsi allo screening potrebbero scontrarsi con una barriera organizzativa e di accesso alla procedura. Sono pochi i centri in Italia che li effettuano e, purtroppo, se ne parla ancora troppo poco. Anche i medici di medicina generale non sono a conoscenza dei vantaggi dello screening polmonare e dunque non saranno portati a consigliarlo come dovrebbero ai soggetti a rischio».

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CHI SONO I FUMATORI DI OGGI

Secondo un’indagine condotta da IQVIA per Roche Italia, il 19% degli italiani sono ex-fumatori, mentre il 25% della popolazione fuma. Di questi, 7 su 10 convivono con condizioni croniche - principalmente problematiche cardiovascolari, metaboliche e respiratorie - e 1 su 3 (36%) ha un approccio passivo nei confronti della propria salute. Tuttavia, anche tra la popolazione dei forti fumatori c’è una quota non minoritaria (quasi il 50%) che è invece orientata attivamente alla prevenzione e cura di sé. E il 42% dichiara di sottoporsi abitualmente a controlli preventivi, anche in assenza di disturbi. Sebbene esista questa propensione, che spinge i fumatori a prendersi cura di sé – guidata dal bisogno di monitorare il proprio stato di salute e dalla volontà di evitare rischi o peggioramenti – anche tra i più sensibili alla prevenzione, emergono significative barriere legate allo screening polmonare.

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Il fumo. Una dipendenza che mette a rischio la salute

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LO STIGMA RESTA

I fumatori o gli ex forti fumatori, anche quando potrebbero avere l'accesso facilitato alla struttura per effettuare gli screening polmonari, spesso non hanno la volontà o la forza psicologica di affrontare questo passo. Perché?

«Il fumo rappresenta una vera patologia, una dipendenza - chiarisce la professoressa Veronesi -, ma oggi persiste ancora la convinzione che sia soltanto un vizio o un'abitudine malsana. I soggetti a rischio di tumore del polmone si sentono spesso in colpa nei confronti della famiglia a cui non vorrebbero mai dare delle brutte notizie o creare disturbo in quanto si attribuiscono la colpa di aver fumato. A fungere da deterrente agli screening sono dunque anche motivazioni di carattere psicologico ed emozionale, derivanti dallo stigma esistente sulla patologia e sul fumo».

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MANCA L’INFORMAZIONE

Il cancro del polmone è uno dei tumori più diffusi e più complessi da curare in Italia e per questo, nonostante esistano sempre maggiori opportunità per diagnosi e trattamenti precoci, continua a fare molta paura.

«L’equivalenza tra tumore polmonare e malattia mortale è ancora nell'immaginario collettivo quindi la paura spesso blocca sul nascere la volontà e la motivazione per andare a fare un esame di controllo», spiega Giulia Veronesi. «Bisognerebbe implementare l’informazione per lanciare un messaggio importante: ricorrere a controlli preventivi risulta di cruciale importanza al fine di intercettare eventuali problematiche in tempo. Il tumore al polmone, quando diagnosticato in fase precoce anche grazie allo screening, è infatti curabile con approccio prevalentemente chirurgico, minimamente invasivo, solo a volte farmacologico, a seconda dello stadio nella maggioranza dei pazienti con tassi di sopravvivenza a 5 anni intorno all’80%».

A mancare non è solamente l’informazione sulla presenza dei programmi di screening e sulla loro utilità, ma anche sulla loro natura e sul loro svolgimento. Secondo l’indagine di Roche, sono molti i timori che lo screening possa essere invasivo, doloroso e/o inutile, portando a rilevare la patologia quando è ormai troppo tardi. Si registra, inoltre, una sfiducia nei confronti del Sistema Sanitario: una potenziale incapacità di garantire la giusta periodicità dei controlli, la tempestività del responso e un percorso di supporto e aiuto al paziente e alla sua famiglia, in caso di diagnosi della malattia.

 

COME SUPERARE LE CRITICITÀ

Rilevate le diverse criticità, quali possono essere le strategie per favorire gli screening polmonari nei soggetti a rischio? «Grazie ai mezzi di comunicazione – riflette la professoressa Giulia Veronesi –, andrebbe aumentata la conoscenza dei cittadini sull’utilità e scarsa invasività di questo strumento. La TAC a basso dosaggio, ovvero lo strumento migliore per la diagnosi iniziale del tumore polmonare, infatti, non è solo efficace nella scoperta di lesioni di piccole dimensioni, ma espone a un dosaggio basso di radiazioni, è di facile e rapida esecuzione e non richiede mezzo contrasto. Un'informazione più capillare sulle procedure di screening e sui benefici legati a un'anticipazione diagnostica andrebbe rivolta anche ai medici di base. In questo modo sarebbero in grado di consigliare lo screening ai soggetti a rischio: persone con più di 50 anni e con un'esposizione al fumo di almeno 20-30 anni, considerando una media di 20 sigarette fumate ogni giorno. Rientrano nella categoria anche i fumatori con un'esposizione «equivalente»: vale a dire per esempio 40 anni di fumo con 10 sigarette accese ogni giorno. Non si parla solo di fumatori, ma anche ex fumatori che abbiano smesso da meno di quindici anni. Dal punto di vista politico, invece, bisogna agire con le istituzioni perché lo screening diventi una priorità dell'agenda sanitaria. Stiamo attualmente lavorando insieme a un gruppo di esperti in sanità pubblica a un’analisi di costo-efficacia che punta a proporre un modello innovativo per stimare l’impatto economico dello screening polmonare in Italia, i potenziali costi risparmiati e la sua sostenibilità per il sistema sanitario: i risultati saranno disponibili nell'arco del 2024. Una petizione in senato proporrà un aumento di accise sulle sigarette per ridurre il consumo di tabacco e, con parte degli introiti governativi, sostenere anche un'implementazione di uno screening polmonare nazionale».

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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