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Pediatria
Serena Zoli
pubblicato il 13-06-2014

Come Caino e Abele: il bullismo tra fratelli


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bullismo

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La persecuzione sistematica nell’adolescenza può avvenire anche in famiglia e non va confuso con i normali litigi. Gli studi mostrano che i guasti mentali di chi è angariato in casa o fuori persistono nella mezza età

Come Caino e Abele: il bullismo tra fratelli

Il bullo che perseguita può essere anche il fratello. O la sorella (un bullo su 6 è femmina, dicono le statistiche). E il fenomeno non va confuso, come spesso fanno genitori e parenti, con i “normali” litigi tra fratelli. Nel bullismo, per poterlo definire tale, l’aggressione fisica o psicologica,  quando non ambedue, deve essere «continuativa e ripetuta», dice uno dei maggiori esperti italiani del problema, Luca Bernardo dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano. Non è facile da distinguere a volte, anche se distinguere è importante: perché il bullismo tra fratelli è deleterio quanto quello subito dai compagni. Lo dice una ricerca americana che ha intervistato 3.600 ragazzini o i loro genitori/insegnanti. Corinna Jenkins Tucker, la ricercatrice del Dipartimento di Studi sulla famiglia dell’Università del New Hampshire che ha guidato lo studio, avverte: «I genitori, i pediatri, l’opinione pubblica non dovrebbero trascurare come normali, di nessun conto o addirittura benefiche le aggressioni tra fratelli, ma  imparare a ritenerle potenzialmente  dannose per  la salute psichica/mentale dei ragazzi».


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IN CROCE A CASA E FUORI

Dice la ricerca Usa che se il bullismo in casa si somma al bullismo dei compagni fuori, il danno si rivela doppio. Aggiunge Bernardo: «Spesso il fratello bullo fa “bullizzare” l’altro anche dai compagni e certo che il danno si aggrava: la vittima non ha più alcun posto sicuro, la casa è temibile come il fuori e lui (o lei) ha sempre il carnefice davanti. Attenzione, poi: il bullo può anche essere il più piccolo dei fratelli, che martirizza i più grandi».

Ma di che danno stiamo parlando? Al quesito risponde, stavolta, una ricerca inglese, e la risposta non è tranquillizzante. Se un ragazzino o ragazzina è stato “segnato” dai tormenti ripetitivi inflittigli da altri ragazzi, le conseguenze d’ordine mentale-psicologico persisteranno almeno fino alla mezza età. “Almeno” nel senso che l’indagine è stata condotta fino all’età di 45-50 anni su circa 8.000 persone  nate in una certa settimana del 1958, “pescate” nei dati che vengono raccolti dal “Centro nazionale britannico sullo sviluppo del bambino”. E sono stati individuati, questi 8.000,  in quanto risultava che avessero subito del bullismo tra i 7 e 11 anni di età.

Rivisti oggi dai medici a 45-50 anni, sono risultati affetti da depressione, ansia, idee suicidarie, alcolismo a livelli maggiori rispetto a quanti non hanno subito da piccoli “persecuzioni” dai coetanei.

Inoltre, i ricercatori dell’Istituto di psichiatria del King’s College di Londra hanno trovato più difficile che queste persone vivessero con un partner stabile e in una vita sociale appagante, non avessero difficoltà economiche e, a corollario di tutto, hanno riscontrato che si portavano dentro una percezione di qualità della vita non buona.

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SEGNATI NELLA VITA

«Questi dati sono una novità a livello di studi, ma è noto che quanti vengono “bullizzati” nella preadolescenza e adolescenza (diciamo tra la terza elementare e le prime due classi delle superiori, 16-17 anni), se non vengono seguiti subito da uno specialista sviluppano disturbi del comportamento e della relazione (nell’ambito sociale o familiare) e possono mettere in atto gesti lesivi verso se stessi o verso gli altri», spiega il professor Luca Bernardo che è pediatra adolescentologo (sì, esiste anche questa specializzazione), fondatore nel 2008 del primo ambulatorio pubblico in Italia («si paga un normale ticket») specifico per questo problema oltre che per droga, sette sataniche, dipendenza dal gioco. Insomma, tutto quanto concerne il disagio adolescenziale e giovanile.


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VITTIME E ARRABBIATI

«Accade che quanti subiscono il bullismo restano “vittime” dentro, lo percepiscono e lo accettano. Il che si coniuga con una rabbia inespressa che può incanalarsi, poi, in percorsi di pericolosità. Anche un senso di inadeguatezza: “ma io avrei dovuto difendermi, non sono stato capace, non valgo niente”. Pure se gli aggressori erano sei e lui solo».

Tutti questi vissuti possono anche venire per anni accantonati: l’ambiente, il lavoro, la famiglia permettono di vivere quasi normalmente, continua il professor Bernardo, ma possono spuntare più avanti con i malesseri o vere malattie psichiatriche che abbiamo visto sopra. Ma non basta: «Potrebbero trasmettere il sentirsi vittima anche ai loro figli! Sembra incredibile? Ma noi lo riscontriamo nei percorsi di riabilitazione. Succede anche che chi subisce mobbing più facilmente è stato da piccolo vittima del bullismo, così come chi fa mobbing spesso è stato un bullo nell’adolescenza».


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UN SOSTEGNO SUBITO

La catena è lunga, da un disagio all’altro, e per spezzarla gli esperti americani, inglesi, italiani sono concordi nel caldeggiare percorsi di sostegno specialistico multidisciplinare che devono essere tempestivi.

E di che durata? «Da poche settimane, a mesi, ad anni: ogni caso è a sé», è la risposta di Bernardo. Il quale passa a descrivere che cosa comprende l’Ambulatorio per il Disagio degli Adolescenti di Milano (tel. 02-63632903) in cui rientra il centro anti-bullismo: l’intervento di adolescentologi, neuropsichiatri infantile, psichiatri, psicologi clinici.

In più  - per questo, anche, l’Ambulatorio può definirsi primo - ha portato dentro l’ospedale  una diramazione dell’Accademia di Brera, di una palestra (serve in special modo per imparare la difesa personale), il collegamento con la Canottieri di Milano, con la Class Horse Tv per l’ippoterapia, il tutto con la collaborazione di due onlus, LiberaMente e Cuore e parole. 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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