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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 30-10-2017

Vaccino contro la varicella: un'opportunità per grandi e bambini



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La profilassi della varicella è divenuta obbligatoria con l'approvazione del nuovo piano vaccinale. Due le modalità di somministrazione: combinata (col vaccino Mpr) o separata

Vaccino contro la varicella: un'opportunità per grandi e bambini

Gratuita per tutti i neonati a partire dal 2015, la vaccinazione contro la varicella è una delle dieci richieste per l'iscrizione alla scuola dell'obbligo. Una decisione che non ha convinto tutti fino in fondo, dal momento che nell'immaginario collettivo è forte l'idea di essere di fronte a una malattia banale. «La varicella? L’abbiamo fatta tutti». Quante volte abbiamo ascoltato, se non proprio pronunciato, queste parole? Ma della varicella è giusto avere paura o no?

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La parola giusta, in questo caso, è rispetto. L'infezione non è da sottovalutare, in primis per i numeri: circa cinquecentomila i nuovi contagi che si registrano ogni anno in Italia. Di questi, in un caso su venti si registrano complicanze: neurologiche (encefalite), ematologiche (trombocitopenia) o respiratorie (polmonite, sopratutto negli adulti). Sono soprattutto i genitori di questi bambini a rendersi conto dell'importanza della prevenzione per quella che rimane una delle più diffuse malattie esantematiche, per la quale un vaccino è disponibile anche in Italia da quindici anni. Ma lo stesso è rimasto ai più sconosciuto fino a pochi mesi fa, quando il disvelamento del nuovo piano nazionale vaccinale ha determinato una sua (necessaria) maggiore diffusione. Secondo un'indagine condotta nel 2015 da Datanalysis, infatti, su cinquecento genitori che hanno avuto il figlio ricoverato per le complicanze della malattia, il 67,2 per cento consiglierebbe la vaccinazione. Ma prima di avere il figlio ricoverato, però, più della metà degli intervistati (il 57 per cento) ignorava l’esistenza del vaccino.

L'OPPORTUNITA' DELLA VACCINAZIONE

«In realtà, anche questa malattia in alcuni casi può risultare pericolosa - ha spiegato Vincenzo Baldo, responsabile del dipartimento di igiene e sanità pubblica dell'Università di Padova, intervenendo al congresso di antibioticoterapia appena conclusosi a Milano -. Per esempio, nella forma neonatale, nelle donne incinte, negli adulti e in particolare nelle persone immunodepresse, tra i quali può provocare encefaliti e infezioni del cervelletto. L’obiettivo della vaccinazione è proteggere i più deboli, che non possono accedere ai vaccini». Alcune regioni - come la Puglia, la Toscana, il Veneto, la Sicilia, la Basilicata, la Calabria, la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia - hanno iniziato a offrire gratuitamente il vaccino già dal 2003 a tutti i bambini a partire dal primo anno di vita (con chiamata attiva). Tutte le altre lo hanno messo a disposizione in maniera facoltativa e a pagamento (all'incirca 50 euro a dose), fino al provvedimento con cui è stata stabilita l'erogazione gratuita nel 2015 e la successiva obbligatorietà per l'iscrizione ad asili e scuole dell'obbligo per tutti i nati nel 2017. Una sorta di federalismo vaccinale che ha determinato una situazione a macchia di leopardo, lungo la Penisola: dove la copertura complessiva non raggiunge il settanta per cento. Ma che, a rileggere i dati di incidenza e ospedalizzazione legati alla varicella diffusi in uno studio pubblicato sulla rivista Human Vaccines & Immunotherapeutics, premia la scelta delle regioni precorritrici.  

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UN VACCINO, DUE OPPORTUNITA': COMBINATO O SINGOLO

La disponibilità di vaccini monovalenti e combinati, assieme all'antidoto trivalente (morbillo, parotite, rosolia), tutti sicuri e efficaci, ha innescato il dibattito sulla scelta del vaccino da utilizzare e sulla tempistica delle somministrazioni. Una prima risposta è giunta da una ricerca di post-marketing - condotta cioè a posteriori rispetto all'ingresos sul mercato dei due antidoti - pubblicata su Human Vaccines & Immunotherapeutics, tra i cui firmatari compare lo stesso Baldo. «Il maggior effetto collaterale indotto dalla vaccinazione contro la varicella è la febbre, come peraltro si registra ogni qual volta si utilizza un vaccino vivo attenuato: come quelli che ci proteggono dal morbillo, dalla parotite e dalla rosolia. In alcuni casi, in bambini predisposti, la febbre può determinare delle convulsioni che non sono la spia di una forma epilettica e che regrediscono spontaneamente quanto più ci si allontana dal giorno della vaccinazione. In questi casi la vaccinazione monovalente ha dimostrato ridurre la frequenza e l'intensità degli eventi febbrili». Già, ma come riconoscere la predisposizione? «L'unica possibilità deriva dalla familiarità - prosegue l'esperto -. Ciò vuol dire che, se si ha già un figlio che ha avuto una convulsione febbrile, col secondo conviene procedere scindendo la vaccinazione trivalente da quella per la varicella. In tutti gli altri casi, al momento, non c'è differenza». La separazione delle due vaccinazioni non implica per forza una distanza temporale. «Si possono differire i due momenti di un mese, ma non è sconsigliato procedere nello stesso giorno: avendo la precauzione di iniettare i due vaccini (il trivalente e quello per la varicella, ndr) in due sedi differenti. Basta questo per ridurre il rischio di insorgenza della febbre». E, di conseguenza, della probabilità di sviluppare una convulsione febbrile.


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UNO SCUDO ANCHE CONTRO IL FUOCO DI SANT'ANTONIO

La profilassi contro la varicella prevede un'iniezione a partire dal primo anno di vita e una seconda consigliata tra il quinto e il sesto anno. L'intervallo può essere anche più ampio se ci si vaccina in età adulta: un aspetto che interessa soltanto chi non ha avuto la malattia durante l'infanzia. «Le donne che non hanno avuto la varicella dovrebbero vaccinarsi almeno un mese prima di rimanere incinte - chiosa Baldo -. Il discorso riguarda anche i futuri padri, se mai ammalatisi prima. La varicella contratta in età adulta aumenta il rischio di sviluppare il Fuoco di Sant'Antonio o Herpes Zoster». 

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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