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Aborto ed eutanasia: eminenza mi spieghi

Monsignor Bagnasco, io spero di aver capito male, o che abbia capito male chi ha riportato il suo recente discorso di Genova. Lei, invocando lo Stato affinché garantisca il diritto alla vita dal momento del concepimento al momento della morte, esprime il timore che aborto ed eutanasia, «proposti per motivi umanitari, a parole», possano essere effettuati «per motivi economici».

Aborto ed eutanasia: eminenza mi spieghi

Monsignor Bagnasco, io spero di aver capito male, o che abbia capito male chi ha riportato il suo recente discorso di Genova. Lei, invocando lo Stato affinché garantisca il diritto alla vita dal momento del concepimento al momento della morte, esprime il timore che aborto ed eutanasia, «proposti per motivi umanitari, a parole», possano essere effettuati «per motivi economici».

Confesso di essere sconcertato da questa impostazione che non solo è pesante, ma che è inedita nella storia della battaglia della chiesa su queste due tematiche. Si può fare un aborto per motivi economici? Senz’altro sì, ma io la chiamo disperazione, e non ci vedo quel senso di condanna implicito nelle parole del cardinale di Genova. La storia dell’aborto, con le dovute eccezioni, è sempre stata una storia di povertà che s’innesta su una condizione d’ignoranza e sprovvedutezza, la stessa che nei secoli ha visto l’abbandono di milioni di neonati.

Non si rinuncia a un figlio per pagare le rate dell’auto o per continuare a far viaggi esotici, ma perché non ci sono le risorse per far fronte all’aggravio, in un bilancio che ormai sempre più spesso è sotto l’indice di sopravvivenza. Secondo l’ultimo rapporto Censis, ormai non è raro che le giovani famiglie appena formate precipitino sotto la soglia d’indigenza all’arrivo di un figlio. Non parliamo poi della giovane ragazza sola, magari straniera e clandestina, che si trova a scegliere tra l’aborto e la perdita di un lavoro precario di pura sopravvivenza. Se condanna deve esserci, va trasferita alla società.

E ora parliamo dell’eutanasia. L’eutanasia, come tutti sanno, in Italia non esiste. Se venisse praticata, sarebbe omicidio. Io mi batto e mi sono sempre battuto per il diritto di ogni individuo a decidere come morire, e contro l’adozione di mezzi straordinari per il rinvìo indefinito della morte naturale. Quando il cardinale Bagnasco parla di garantire «quella vita che non ha più la voce perché l’ha persa, in uno stato d’incoscienza o d’infermità mentale» allude di certo («E’ evidente a chi pensiamo», ha detto) a drammi come quello di Eluana Englaro, nonché di  Piergiorgio Welby e Luca Coscioni, che hanno esercitato con enorme difficoltà il sacrosanto diritto di autodecisione.

Sono storie che coincidono con straordinari martirii di testimoni dell’etica contemporanea, e non hanno avuto niente a che vedere con motivi economici. Altrettanto fuori dalle strategie economiche sono i malati in stato vegetativo permanente (molte centinaia, in Italia) che negli ospedali e nelle case sopravvivono giorno dopo giorno attentamente curati e accuditi. Non è mai emersa una notizia che provi il contrario, e vorrei capire dove il cardinale Bagnasco abbia reperito dati di un’eutanasia praticata in nome della «spending review». A tutte queste storie di lacrime e di angoscia va il mio pensiero, solidale e reverente.

Umberto Veronesi



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