Il primo invito arriva a 50 anni, in alcune Regioni a 45. Tante volte coglie di sorpresa: «Già?». È l’invito a sottoporsi gratuitamente alla mammografia nel piano di prevenzione del tumore al seno, che però non tutte le donne accolgono. Lasciar cadere l’invito dello screening può anche essere predittivo di un comportamento rischioso. Specialmente se è il primo che si riceve. Lo afferma uno studio compiuto al Karolinska Institutet di Stoccolma (Svezia) e pubblicato sulla rivista Bmj.
STUDIO SU 433.000 DONNE A STOCCOLMA
In Svezia, dai primi anni Novanta del secolo scorso, alle donne è stata offerta la possibilità di una mammografia gratuita ogni due anni, tra i 40 e i 74 anni, e questa misura ha contribuito a una diminuzione della mortalità per tumore al seno. Nonostante questo, un numero consistente di donne ha scelto di lasciar perdere il primo esame proposto.
Un gruppo di ricercatori si è posto l’obiettivo di controllare le conseguenze sul lungo periodo, basandosi sui dati dei registri nazionali della salute relativi a 433.000 donne, invitate allo screening tra il 1991 e il 2020 e seguite, poi, per 25 anni.
UN TERZO RINUNCIA ALL’ESAME GRATUITO
Riguardo alla prima sollecitazione ricevuta, si è visto che il 32 per cento ha lasciato cadere l’appuntamento.
Queste stesse donne si erano poi mostrate, nel tempo, poco propense a prender parte ad altri esami il che, spesso, ha condotto a diagnosi tardive e prognosi peggiori.
«Saltare il primo invito per la mammografia è un notevole indicatore di chi è a rischio di una tardiva valutazione della malattia e di un maggior grado di mortalità – osserva Ziyan Ma, la prima autrice della ricerca. – I nostri risultati mostrano che saltare la prima opportunità del ciclo di mammografie non è la scelta di quella volta e basta, ma spesso segna l’inizio di un’abitudine di lungo periodo nel non seguire i check-up».
LA DIAGNOSI ARRIVA PIÙ TARDI
Inoltre è emerso che, in caso di diagnosi di tumore al seno, fra le donne che avevano saltato il primo incontro dello screening le probabilità di una diagnosi in fase avanzata erano maggiori rispetto alle donne che invece vi avevano aderito (una volta e mezzo più alte per un tumore al terzo stadio e 3,6 volte più elevate per un tumore al quarto stadio).
Considerando gli esiti nei 25 anni di follow-up, è risultato che tra le non partecipanti al primo appuntamento l’1 per cento era deceduta per tumore al seno in confronto allo 0,7 di quelle che avevano partecipato – una differenza che corrisponde a un rischio più elevato del 40 per cento di morire per la malattia.
Quanto al rischio di sviluppare il cancro, la proporzione era la stessa nei due gruppi, del 7,7 per cento. Se la partenza era approssimativamente la stessa, i dati finali sono stati ben diversi: la maggiore probabilità di morire nel gruppo che ha saltato la prima mammografia sta nell’essere arrivata a una diagnosi troppo tardi.
L’ESITO NEGATIVO SI PUÒ EVITARE
«Ci sono fattori di rischio che non possiamo cambiare, come la familiarità – ha commentato la professoressa Kamila Czene del gruppo di ricerca. – Il nostro studio mostra che lasciar perdere la prima mammografia proposta porta con sé un più alto livello di mortalità, però questo dato, diversamente dalla familiarità, si può cambiare facendo i controlli periodici». A che cosa serve questa informazione? «Sapendo con largo anticipo quali donne sono a maggior rischio, decenni prima che il pericolo di ammalarsi diventi concreto, i medici e le autorità sanitarie possono fare il possibile per persuaderle ad accettare i controlli mammografici» osserva la ricercatrice.
In Italia il sistema sanitario nazionale propone l’esame alle donne tra i 50 e i 69 anni, ma molte Regioni estendono l’offerta ai 45 e ai 74 anni. Nel 2024 ha risposto all’invito poco più della metà delle donne coinvolte, con profonde differenze regionali: 63% al nord, 53% al centro, 40% al sud.