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Pink Ambassador

"La mia squadra d’amore per superare il tumore al seno"

Tra sport, psicoterapia e chirurgia preventiva, così Alice ha ricominciato a guardare avanti, cambiata ma serena, con la sua rete affettiva sempre pronta a sostenerla

Quando a settembre 2023 ha ricevuto la diagnosi di tumore al seno, Alice non ha pensato subito a sé. Il primo pensiero è corso ai suoi figli, ancora piccoli, per i quali avrebbe voluto esserci il più a lungo possibile.

Oggi, a 39 anni, è una donna diversa. Ha affrontato una mastectomia bilaterale e l’asportazione delle ovaie per via della mutazione genetica BRCA2. Ha affrontato le cure, la perdita temporanea dei capelli, la paura, la fatica, ma anche un grande cambiamento interiore. Lo sport, la psicoterapia, e soprattutto le persone accanto a lei sono stati i suoi pilastri. La sua squadra d’amore.

Questa è la sua storia.

LA SCOPERTA DELLA MALATTIA

Quando ha ricevuto la diagnosi, Alice faceva già parte di un programma di screening attento e regolare. Era controllata due volte l’anno, da oltre dieci anni. Prima solo ecografie, poi, dai 35 anni, anche la mammografia. Questo perché in passato a sua mamma e a sua zia era stato diagnosticato un tumore al seno, e i medici le avevano consigliato di monitorarsi. La diagnosi è arrivata proprio durante un controllo di routine. Un sospetto, poi l’agoaspirato, infine la conferma: carcinoma mammario, piccolo ma di rapida progressione.

«La vita mi è cambiata in un attimo. Il primo pensiero? Non voglio morire. Il secondo? Ho due figli piccoli, non posso lasciarli ora. Il terzo? Fatemi guarire, vi prego».

Alice e il marito, proprio quel weekend, avevano in programma una giro in bici in montagna. Decidono comunque di partire. «Avevo bisogno di stare nella natura, di pedalare, di allontanarmi da tutto per metabolizzare la notizia prima di poterla spiegare ai nostri due bimbi. Lo sport, da quel giorno, mi ha sempre tenuto in piedi: prima, durante e dopo la malattia».

UNA SCELTA DI PREVENZIONE

Dopo la diagnosi, Alice effettua il test genetico. Il risultato è chiaro: mutazione BRCA2. Decide di effettuare una mastectomia bilaterale, nonostante il seno malato fosse solo il destro, e poi l’asportazione delle ovaie in misura preventiva. «Non volevo più vivere con la paura addosso. Volevo fare tutto il possibile per evitare questo incubo una seconda volta».

UN LAVORO DI SQUADRA

Sin dall’inizio, Alice sceglie di non affrontare tutto da sola.

«Ho deciso di circondarmi delle persone giuste: la psicoterapeuta, il nutrizionista, l’osteopata e poi la mia famiglia, mio marito, i miei figli, le amiche vere. È stata la mia squadra d’amore».

«Non è stato facile, ma ho sempre pensato che i bimbi avessero diritto alla veritá. Avrei dovuto affrontare un percorso lungo e molto impegnativo da cui non sarei riuscita a proteggerli. Giá prima dell’operazione, nonostante stessi cercando di portare avanti la mia vita di sempre, é capitato che mi chiedessero “Mamma, sei triste?” “Mamma, a cosa stai pensando?” “Mamma, cosa c’é che non va?”. É stato evidente come loro percepissero tutto, anche il non detto. Con l’aiuto della terapeuta, ho cercato le parole piú adatte per raccontare loro la veritá. Non volevo che sentissero informazioni dall’esterno, perdendo la fiducia in me. I nostri figli – allora di 4 e 7 anni – sono stati un sorprendente esempio di empatia. Mi hanno aiutata e capita in un modo che non pensavo fosse possibile per dei bimbi della loro etá».

«Chiamare le cose con il proprio nome come primo passo per affrontarle e gestirle, non aver vergogna di chiedere aiuto, avere la convinzione che dentro ciascuno di noi esiste una forza potentissima, sapere che nella vita si cade, ci si fa male, ma piano piano ci si rialza: sono queste le cose che ho cercato di trasmettere a entrambi con la mia esperienza».

LA PERDITA DEI CAPELLI

Per Alice il momento più duro è stato senz’altro la perdita dei capelli

«Mi terrorizzava l’idea di dover vedere la mia immagine allo specchio così cambiata. Ho sempre detto: “farò tutto quello che serve, ma non fatemi perdere i miei capelli”».

E invece la chemio glieli ha portati via. O quasi. Alice ha trovato la soluzione adatta a lei: una protesi di capelli veri, fissata in modo permanente. «Non mi sono mai vista senza capelli. La protesi è stata la mia ancora di salvezza per riuscire a mantenere la mia vita di sempre. Eppure, verso la fine delle cure, quando i miei capelli veri iniziavano a crescere di nuovo, guardandomi allo specchio non mi riconoscevo più con la protesi. Ho sentito che era arrivato il momento di toglierla. Inizialmente i bimbi hanno faticato a vedere l’immagine della loro mamma così cambiata. “Sembri uno struzzo”, mi hanno detto. Ma quando mi hanno vista serena, hanno appoggiato questa scelta e addirittura il più piccolo mi ha chiesto di accompagnarlo a scuola il giorno seguente, per mostrare con orgoglio i miei capelli corti ai suoi amici».

SPORT E NATURA PER SENTIRSI VIVA

Durante tutta la malattia, Alice non ha mai smesso di camminare e di cercare il contatto con la natura. «Anche dopo sei ore di chemio, sotto la neve, sotto la pioggia. Sempre. Camminare era il mio momento di decompressione, con la musica o un podcast nelle orecchie. Erano passeggiate di lacrime, speranza e paura. Ogni passo, però, mi avvicinava alla fine delle cure».

«Nel weekend – ricorda – quando gli effetti della chemio mi concedevano un po' di tregua, chiedevo di essere portata al lago o in montagna. Era il mio modo di sentirmi viva in un momento in cui tutto intorno a me parlava di morte. Anche solo guardare i bambini giocare nella natura mi ricaricava».

Lo sport, già presente nella sua vita di prima, è diventato fondamentale per gestire quello che le stava succedendo. «Il giorno della diagnosi ho detto a mio marito piangendo: quando guarisco corro la maratona di New York. E quest’anno, a novembre, sarà esattamente quello che farò. Non so se riuscirò a concluderla, magari camminerò. Ma sarò lì, con tutta la mia famiglia accanto».

LA POTENTE RETE DELLE PINK

Oltre allo sport individuale, per Alice c’è spazio anche per lo sport praticato in gruppo, insieme alle Pink Ambassador di Fondazione Veronesi.

«Ho scoperto le Pink  per caso, scorrendo Instagram. Un progetto pensato per donne come me, che hanno affrontato un tumore tipicamente femminile e vogliono rimettersi in gioco attraverso lo sport. Allenamenti con un coach, consigli su alimentazione e stile di vita, e un gruppo con cui condividere una nuova sfida: correre una mezza maratona. Mi è sembrato fatto apposta per me. Nel giro di 24 ore ho inviato la candidatura e sono entrata nella squadra delle Pink di Modena e Reggio Emilia.

«C’è una forza enorme in questo progetto. Vedere donne che, dopo tutto quello che hanno passato, si ritrovano, si allenano e corrono insieme è potente e commovente. Io facevo già sport, ma alcune compagne non avevano mai corso prima: superare i propri limiti insieme è bellissimo.

Condividiamo molto più che allenamenti, ci sosteniamo anche su temi delicati, come gli effetti collaterali delle terapie. Sentirsi comprese, senza bisogno di spiegare troppo, fa la differenza. A novembre correremo la mezza maratona di Palermo. E come sempre, ci sarà anche la mia famiglia a tifare per me».

UN’ALICE DIVERSA

«Oggi, guardandomi allo specchio, so di non essere più quella di prima. Il seno non è più il mio, ho rimosso le ovaie, e le cicatrici sul corpo sono lì a ricordarmi ogni giorno il percorso fatto. È stata una prova profonda, anche per la mia femminilità, ma il cambiamento non è stato solo fisico. Mi sento diversa dentro. Non ho più tempo da perdere con sciocchezze, litigi, riunioni inutili o rapporti vuoti. Oggi, più che mai, mi circondo solo di chi conta davvero. Ho anche imparato ad avere più rispetto per me stessa e per il mio tempo. So di essere cambiata e capisco che gli altri abbiano bisogno di tempo per conoscere questa nuova me. Oggi non voglio sprecare neanche un minuto in qualcosa che non mi faccia stare bene».

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