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Fabio Di Todaro
pubblicato il 18-12-2017

Resistenza agli antibiotici: se il problema nasce dagli allevamenti



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Uno studio francese evidenzia come la resistenza alle penicilline sia nata dall'abuso negli allevamenti negli anni '50. Oggi gli eccessi di antibiotici sono nell'acquacoltura

Resistenza agli antibiotici: se il problema nasce dagli allevamenti

Secondo molti l'esperti, le responsabilità vanno ripartite in maniera equa: la metà ai medici, una quota eguale ai veterinari. Il problema è quello della resistenza agli antibiotici, «una priorità per chi si occupa di salute pubblica», ripete da tempo l'Organizzazione Mondiale della Sanità. In un mondo in cui gli antibiotici non funzionano più, qualsiasi intervento chirurgico o procedura di chemioterapia espone il paziente a un potenziale rischio. Occorre dunque utilizzarne meno, soltanto quando necessari: tanto negli studi medici quanto negli allevamenti.  

ANTIBIOTICI NELLA CARNE:
COSA C'E' DI VERO?

Trascrizione

NEGLI ANNI '50 LE PRIME RESISTENZE ALLE PENICILLINE

Su quest'ultimo tema, c'è da registrare quanto riportato in uno studio condotto dai ricercatori dell'Istituto Pasteur di Parigi e pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases. I ricercatori sono partiti da un dato di fatto: tra la comparsa sul mercato umano dell'ampicillina (una delle penicilline più utilizzate in ambito umano) e lo sviluppo delle prime resistenze da parte dei batteri del genere Salmonella è passato troppo poco tempo (poco più di un anno: tra il 1961 e il 1963) per pensare che l'abuso sia stato compiuto soltanto da parte dei medici. Da qui la scelta di valutare la sensibilità agli antibiotici di 288 ceppi di Salmonella, raccolti in oltre 30 Paesi da varie fonti, tra il 1911 e il 1969: non soltanto essere umani, ma anche animali d’allevamento, mangimi e alimenti. I campioni sono stati testati per la sensibilità agli antibiotici e analizzati col sequenziamento dell'intero genoma. Le analisi molecolari hanno rivelato che il gene della resistenza all'ampicillina (blaTEM-1) è emerso negli esseri umani negli anni '50: prima che l'antibiotico fosse rilasciato sul mercato farmaceutico. 

L'IMPATTO DEGLI ALLEVAMENTI

Da qui la deduzione che tra le possibili cause possa esserci l'aggiunta di penicillina agli alimenti per animali nel decennio che ha preceduto l'introduzione sul mercato dell'uso umano. «I nostri risultati suggeriscono che i residui di antibiotici in ambienti agricoli come suolo, acque reflue e letame possono avere un impatto molto maggiore sulla diffusione della resistenza di quanto si pensasse in precedenza», afferma Francois-Xavier Weill, direttore del laboratorio di ricerca sui batteri enterici dell'Istituto Pasteur e primo autore della ricerca. L'analisi genetica ha svelato la presenza di 11 ceppi resistenti, per lo più di origine umana. «Ciò indica che i primi casi di resistenza all'ampicillina siano stati dovuti allo sviluppo di meccanismi di resistenza da parte di diversi geni - aggiunge il ricercatore -. La loro varia diffusione in diversi Paesi conferma l'ipotesi che il fenomeno abbia avuto origine da popolazioni batteriche diffuse a livello globale». Le ampicilline, sia in Europa sia negli Stati Uniti, risultavano già impiegate negli allevanti, come documentato già nel 1965 in un lavoro pubblicato su The Lancet. Mentre dal 2006 il loro utilizzo è vietato nel Vecchio continente.


OGGI I MAGGIORI ABUSI AVVENGONO NELL'ACQUACOLTURA

Lo studio non identifica un nesso causale tra l'uso della penicillina G e l'insorgenza di resistenza all'ampicillina trasmissibile nel bestiame, i  risultati suggeriscono che l'uso non clinico di penicilline possa aver favorito l'evoluzione di geni della resistenza verso la fine degli anni '50. Da qui il bisogno di valutare un approccio «one health» - non scindendo più i problemi di salute umana da quelli animale e ambientale - per affrontare la resistenza. «I batteri non conoscono confini», è il pensiero riportato da tre ricercatori dell'Istituto di medicina tropicale di Anversa in un commento pubblicato sulla stessa rivista. «Il divieto di utilizzo dei promotori della crescita degli antibiotici non ha determinato effetti negativi sulla produzione animale, mentre ha visto ridursi la resistenza agli antibiotici nei suini e nel pollame». Detto ciò, un ampio uso di antibiotici continua: sopratutto nei Paesi a basso e a medio reddito e in economie in forte espansione, in particolare nelle procedure di acquacoltura (pesci e molluschi). La resistenza agli antibiotici determina almeno 25.000 decessi ogni anno soltanto in Europa. Da qui le indicazioni stringenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: «No all’uso di antibiotici come promotori della crescita, sì all’uso in animali sani per la prevenzione di malattie solo se queste sono state effettivamente diagnosticate in altri animali dell’allevamento».

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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