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I nostri ricercatori
Chiara Segré
pubblicato il 29-09-2014

Insegno al sistema immunitario come combattere il tumore al seno



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A Torino, Sergio Occhipinti, ricercatore sostenuto tramite il progetto di Fondazione Veronesi Pink is Good, lavora su una strategia all’avanguardia per distruggere le cellule maligne

Insegno al sistema immunitario come combattere il tumore al seno

Sergio Occhipinti, 33 anni, è uno dei 10 giovani ricercatori sostenuti nel 2014 da Fondazione Veronesi attraverso il bando Pink is Good (http://pinkisgood.it/wp/), il progetto di Fondazione Veronesi dedicato a tutte le donne in tema di prevenzione e cura del tumore al seno.

Laureato in Biotecnologie Mediche all’Università di Torino, attualmente è un ricercatore al CeRMS, Ospedale Città della salute e della Scienza di Torino; lavora nel campo innovativo dell’immunoterapia del tumore al seno.

Dottor Occhipinti, in cosa consiste la sua ricerca?

Sto lavorando alla messa a punto di una immunoterapia per combattere un tipo di tumore al seno, quello cosiddetto “positivo a HER2”. HER2 è una proteina presente sulle membrane cellulari coinvolta nelle vie di segnalazione che regolano la proliferazione cellulare; alti livelli o forme mutate la rendono oncogenica, cioè in grado di favorire la formazione e la progressione del tumore. Noi stiamo sviluppando una strategia per addestrare il sistema immunitario del paziente a riconoscere le cellule maligne con la proteina HER2 mutata e a distruggerle. Un po’ lo stesso principio alla base delle vaccinazioni.


Cosa aggiunge questo approccio immunoterapico alle terapie già esistenti?

Attualmente, per la cura dei tumori positivi a HER2,  vi è a disposizione un “farmaco intelligente”, il Trastuzumab, che riconosce proprio la proteina HER2 delle cellule tumorali. La maggior parte delle pazienti risponde inizialmente molto bene al Trastuzumab, ma dopo circa un anno compare resistenza nell’80% delle pazienti. Uno dei motivi per cui questo accade sembra essere la comparsa nelle cellule tumorali di alcune mutazioni di HER2 che impediscono al farmaco Trastuzumab di riconoscerlo. Inoltre, non sono rari gli effetti collaterali legati alla somministrazione di Trastuzumab, soprattutto a livello del cuore.

L’immunoterapia potrebbe ovviare a questi problemi. È un approccio terapeutico diverso da quello della chemioterapia; non è farmacologico ma cellulare e sfrutta lo stesso meccanismo naturale di difesa dell’organismo: il sistema immunitario. Una delle mutazioni più frequenti di HER2 che si riscontrano nel 90% dei tumori in fase avanzata è la forma chiamata delta 16. È una variante più corta della proteina HER2 che cambia forma e che quindi non viene più riconosciuta dal Trastuzumab. Essa è, inoltre, sempre attiva e, come un interruttore sempre acceso su ON, continua a segnalare alla cellula di dividersi, favorendo la progressione tumorale.

Stiamo cercando di addestrare le cellule immunitarie del paziente a riconoscere la forme delta 16 della proteina HER2 sulle cellule tumorali e a eliminarle, attraverso i normali meccanismi di tossicità cellulare messi in atto dal sistema immunitario nei confronti di cellule infettate o malfunzionanti.


Come fate nella pratica?

L’approccio è personalizzato: le diverse cellule del sistema immunitario del paziente sono purificate da un semplice prelievo di sangue e vengono poi messe in coltura. Tra le cellule immunitarie ve ne è un tipo “speciale”, le cellule dendritiche, in cui inseriamo la forma mutata di HER2, che funziona come un vaccino per stimolare la risposta immunitaria. Le cellule dendritiche infatti a loro volta “addestrano” un altro tipo di cellule, i linfociti T, a riconoscere le cellule tumorali che possiedono la proteina HER2 mutata; una volte reiniettate nel paziente, i linfociti T dovrebbero essere in grado di riconoscere e distruggere le cellule tumorali.


Quali risultati avete già ottenuto e quali sono le prospettive future?

Al momento stiamo mettendo a punto la parte in vitro della metodica. Siamo riusciti a ottenere una parziale risposta immunitaria contro linee tumorali in coltura, il che è già un successo perché ci dice che siamo sulla buona strada. Il prossimo passaggio sarà capire come potenziare la risposta immunitaria contro la proteina mutata, che al momento c’è ma è ancora moderata; sospettiamo che intervengano altre molecole segnale del sistema immunitario, le citochine, che spengono la risposta immunitaria, agendo “contro”. Dobbiamo identificare queste molecole inibitorie e capire come modularle, per eventualmente mettere a punto un vaccino combinato che stimoli in maniera adeguata la risposta contro HER2 delta 16. Il passo finale sarà verificare, prima in modelli animali per poi eventualmente passare in sperimentazione clinica, l’effettiva efficacia dei linfociti “addestrati” a infiltrarsi nel tumore e distruggerlo una volta reintrodotti in un organismo complesso.


Qual è l’impatto potenziale di questa ricerca per la cura del tumore al seno?

L’immunoterapia oggi viene già utilizzata, ad esempio negli Stati Uniti per trattare alcuni tumori particolari, come il cancro alla prostata, con risultati clinici evidenti.  Uno dei più grossi ostacoli all’impiego dell’immunoterapia come trattamento standard sono i costi. Per poter, giustamente, garantire gli elevati standard di sicurezza e controllo qualità in tutte la fasi della terapia -estrazione e purificazione delle cellule immunitarie dal sangue del paziente, “addestramento” in vitro e introduzione nuovamente nel paziente-, i costi sono estremamente alti e difficilmente sostenibili su larga scala.

L’ideale sarebbe riuscire a veicolare il vaccino contro HER2 e “addestrare” il sistema immunitario direttamente nel paziente, senza dover estrarre le cellule e trattarle in vitro.

A questo scopo stiamo sviluppando in parallelo anche un altro filone di ricerca, in collaborazione con i colleghi del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco: utilizzare delle nanoparticelle a base di chitosano (uno zucchero) come trasportatori del vaccino contro HER2 delta 16. Su queste particelle viene assemblata un’“antenna molecolare” che le indirizza direttamente alle cellule dendritiche, dove il vaccino può stimolare la risposta immunitaria. Al momento siamo ancora nelle fasi preliminari della ricerca ma l’approccio è promettente. Esistono infatti già altri vaccini,  non solo oncologici, che vengono con successo veicolati tramite nanoparticelle.

Questa strategia permetterebbe di abbattere gran parte dei costi di queste terapie rendendole più accessibili, in prospettiva, a un maggior numero di persone. 

Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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