I componenti antinfiammatori estratti dalla liquirizia potrebbero ridurre l'infiammazione legata all'obesità e rivelarsi utili contro tumore al seno: la ricerca di Danila Cianciosi.
L'obesità rappresenta un fattore di rischio per diversi tipi di tumore, tra cui quello al seno. Recenti studi hanno infatti dimostrato che il tessuto adiposo in eccesso rilascia molecole infiammatorie che accelerano la crescita tumorale. Una strategia per modulare tali disfunzioni potrebbe essere l'uso di alimenti ricchi in composti bioattivi, che offrirebbero un approccio naturale per ridurre l’infiammazione associata all'obesità e, di conseguenza, allo sviluppo e progressione tumorale.
Danila Cianciosi è ricercatrice presso l’Università Politecnica delle Marche, dove studia la composizione degli estratti di radice di liquirizia (ricchi di composti bioattivi) contro i processi infiammatori legati all’obesità. Il progetto sarà sostenuto per il 2024 da una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi.
Danila, come nasce l'idea del vostro lavoro?
«Differenti studi scientifici hanno evidenziato una stretta correlazione tra obesità, rischio di insorgenza e progressione di vari tipi di cancro, tra cui quello della mammella. Per questo motivo, abbiamo creato un modello complesso in vitro per studiare gli effetti dell’estratto di radice di liquirizia su cellule adipose (deputate a “conservare” il grasso corporeo, ma anche con una funzione ormonale comprovata, N.d.R.). La radice di liquirizia contiene infatti composti con comprovati effetti antinfiammatori - finora mai studiati a livello di interazione obesità e cancro - e con elevate capacità di ridurre alcuni parametri biochimici legati all’obesità, come il colesterolo LDL e i trigliceridi».
Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?
«È cruciale comprendere sperimentalmente se un intervento nutrizionale, in una situazione di obesità che porta con sé un rischio più elevato di sviluppare un tumore, possa ridurre l’insorgenza o mitigare la progressione di una neoplasia».
Quali sono gli aspetti poco noti?
«I meccanismi molecolari alla base del legame tra obesità, insorgenza e progressione del cancro sono poco conosciuti. Sono scarsi anche gli studi su come interventi nutrizionali mirati a supporto delle terapie convenzionali possano condizionare l’insorgenza e la progressione del cancro del seno, in una situazione di obesità».
Come intendete portare avanti il vostro progetto?
«La prima parte, già iniziata, prevede di analizzare l’estratto di radice di liquirizia e mettere a punto dei protocolli sperimentali per coltivare gli adipociti in vitro, che verranno poi messi in contatto con l’estratto a varie concentrazioni. Poi si procederà a raccogliere una quantità importante di terreno di coltura che deriva dal trattamento degli adipociti con l’estratto di liquirizia: successivamente questo terreno verrà messo a contatto con cellule di tumore al seno. Su quest’ultime saranno valutati differenti effetti, tra cui quello antiossidante, antinfiammatorio, antiproliferativo e antimetastatico».
Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la conoscenza biomedica e la salute umana?
«La prima prospettiva è quella di arricchire la conoscenza scientifica riguardo i meccanismi molecolari alla base della complessa relazione tra obesità e rischio di insorgenza/progressione del cancro alla mammella. In secondo luogo, questo studio fornirà una base per ulteriori indagini, sia precliniche sia cliniche, sull'uso potenziale di composti naturali in combinazione con terapie convenzionali, al fine di prevenire e trattare il cancro al seno. Questa possibilità riguarda specialmente i soggetti obesi, con un rischio maggiore di malattia e prognosi negativa».
Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?
«Sì, sono stata presso l’Universidad de Granada, in Spagna».
Cosa ti ha spinto ad andare?
«Il mio laboratorio collabora con importanti Università. In quel caso sono andata per insegnare alcune tecniche spettrofotometriche ad altri dottorandi spagnoli».
Che cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Anche se purtroppo breve, è stata per me una bellissima esperienza. Mi ha mostrato che la scienza è un linguaggio universale».
Ricordi il momento in cui hai scelto questa professione?
«Sin da piccola mi divertivo a inventarmi “le ricette” di immaginari medicinali per la cura del raffreddore, che mi metteva completamente KO. Mi chiedevo perché un disturbo apparentemente semplice non avesse una cura reale. Poi mi sono appassionata moltissimo alla biologia durante il liceo e credo di aver capito che la ricerca era ciò che avrei voluto fare nella vita nel primo anno di università, quando abbiamo messo piede nei laboratori. Per me è stato un vero e proprio colpo di fulmine».
C’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece che vorresti dimenticare?
«I momenti della mia vita professionale che vorrei incorniciare sono almeno tre. Il primo è il giorno in cui ho vinto il posto di dottorato, perché non me lo aspettavo affatto. Il secondo è il giorno in cui ho conseguito il titolo di dottore di ricerca. Il terzo è il giorno in cui ho ricevuto la notizia di aver vinto la borsa di Fondazione Veronesi, poiché questi traguardi rappresentano obiettivi fondamentali per me. Per fortuna, non ho momenti da dimenticare al momento».
Dove ti vedi fra dieci anni?
«Spero sempre impegnata nella ricerca, con qualche responsabilità in più e magari con un contratto che mi dia più sicurezza».
Cosa ti piace di più della ricerca?
«La cosa che mi piace di più è che non ci si annoia mai, è fuoco per la mia curiosità. Nella ricerca si è sempre estremamente stimolati dai successi e forse in maniera ancora più importante dagli insuccessi. Mi piace pensare che ciò che sto facendo possa essere un piccolo tassello di un puzzle, chiamato conoscenza scientifica».
E cosa invece eviteresti volentieri?
«Il precariato e l'incertezza costante sulla disponibilità di un supporto economico. Ora, con la presenza di una figlia, la situazione diventa ancora più stressante».
Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?
«La chiave di volta del sapere».
Come rispondi quando ti chiedono che lavoro fai?
«Dipende da chi me lo chiede. Parto dal dire che sono una ricercatrice e poi, se vedo interesse e curiosità, vado nei dettagli».
C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?
«Sicuramente Rita Levi Montalcini».
Qual è il messaggio più importante che ti ha lasciato?
«“Rifiutate di accedere a una carriera solo perché vi assicura una pensione. La migliore pensione è il possesso di un cervello in piena attività che vi permetta di continuare a pensare fino alla fine”. Penso che si adatti perfettamente a tutti noi ricercatori, con la mente sempre in movimento e con una certa esperienza di precariato».
Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?
«La neurochirurga o la pediatra».
In cosa, secondo te, possono migliorare la scienza e la comunità scientifica?
«Ci sono diversi aspetti in cui la scienza potrebbe migliorare, tra cui la trasparenza nelle metodologie di ricerca per incoraggiare la riproducibilità degli esperimenti e l’affidabilità dei risultati. Sostenere e favorire collaborazioni tra ricercatori, università e discipline diverse potrebbe essere un altro punto da migliorare. Il lavoro di chi fa scienza potrebbe invece essere aiutato da finanziamenti adeguati, dalla valorizzazione del lavoro dei ricercatori e dalla promozione di collaborazioni tra istituti di ricerca e aziende».
Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?
«Credo che un po’ ci sia e sia dovuto in particolar modo alla disinformazione, perché a volte la comunicazione scientifica è poco accessibile al pubblico generale. Una migliore divulgazione farebbe aumentare anche la fiducia in noi ricercatori».
Cosa fai nel tempo libero?
«Amo nuotare, ma per il poco tempo a disposizione è una passione che ho un po’ accantonato. Mi piace ascoltare la musica, sono una fan sfegatata di Eros Ramazzotti. Inoltre, mi piace guardare film, serie TV e leggere».
Hai famiglia?
«Si, ho un compagno e una bellissima bimba, Aurora, di 2 anni e mezzo».
Se un giorno tua figlia ti dicesse che vuole fare la ricercatrice, come reagiresti?
«Innanzitutto, sarei felice di averle trasmesso la mia passione per la ricerca e le direi di perseverare se è davvero ciò che desidera: se si crede veramente in qualcosa, alla fine si riesce a realizzarla».
Hai un ricordo a te caro di quando eri bambina?
«I ricordi più cari riguardano i miei nonni e il tempo passato con loro. Mi ritengo molto fortunata perché ne ho ancora tre in vita».
Quali sono i tuoi libri o film preferiti?
«Per quanto riguarda i libri, amo tutta la saga di Harry Potter. Inoltre, adoro il genere thriller psicologico sia nei libri sia nei film, anche se il mio film preferito in assoluto è Ghost».
Danila, perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Credo sia fondamentale donare a sostegno della ricerca perché senza questo sostegno molte idee, potenzialmente di fondamentale importanza per la collettività, rimarrebbero "nel cassetto", senza la minima possibilità di essere realizzate e concretizzate».
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
«Grazie a chi ha deciso o deciderà di donare a sostegno della ricerca scientifica, poiché ogni singola donazione contribuirà a raggiungere gli obiettivi di noi giovani ricercatori e ci aiuterà a sviluppare nuove conoscenze fondamentali a beneficio della salute di tutti».