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Alessandro Vitale
pubblicato il 11-01-2021

Sviluppare nuovi farmaci per la leucemia mieloide acuta



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La storia di Andrea Berardi, ricercatore sostenuto da Fondazione Umberto Veronesi nella lotta alla leucemia mieloide acuta

Sviluppare nuovi farmaci per la leucemia mieloide acuta

La leucemia mieloide acuta (LMA) è una malattia che origina nel midollo osseo (un tessuto che risiede principalmente all’interno delle ossa lunghe del corpo) e che colpisce alcune cellule progenitrici dei granulociti, parte del sistema immunitario. Come suggerisce il nome, il decorso di questa patologia è piuttosto rapido e i sintomi compaiono nella fase precoce della malattia. Si tratta di una patologia che colpisce maggiormente gli adulti (più frequente negli uomini con più di 60 anni), ma che rappresenta il 13% delle leucemie tra i bambini di età compresa tra 0 e 14 anni in Italia.


Sebbene esistano diverse tipologie di LMA, la terapia di riferimento è la chemioterapia alla quale può seguire il trapianto di midollo autologo o da donatore. Ma occorre sviluppare farmaci mirati, che colpiscano specificamente il tumore e garantiscano una prognosi sempre migliore per i pazienti colpiti.


Andrea Berardi
, biotecnologo e ricercatore presso l’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, sta portando avanti il suo progetto di ricerca grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Gold for Kids, dedicato alla ricerca su tumori dell’età pediatrica e adolescenziale. 

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Come nasce l'idea del vostro lavoro?

«La leucemia mieloide acuta è una forma di leucemia pediatrica per la quale, attualmente, mancano trattamenti terapeutici specifici. In questo tipo di leucemia, si registrano elevati livelli della proteina Nup98-NSD1 che, interagendo con la proteina Nizp1, modula l’espressione di geni responsabili dell’insorgenza della patologia. Affinché questa interazione avvenga è necessario che specifiche regioni delle due proteine, che prendono il nome di PHDvC5HCH e C2HR, si incontrino formando un complesso. La nostra idea di lavoro nasce dall’esigenza di trovare nuove molecole, con il potenziale per diventare farmaci, capaci di inibire le interazioni proteina-proteina responsabili di questa forma di leucemia».

Come vorreste fare?

«Verranno impiegate metodologie biochimiche per l’individuazione di nuove molecole che saranno poi sperimentate su linee cellulare utilizzate in laboratorio per lo studio della patologia, al fine di verificare se siano effettivamente in grado di ridurre la progressione della leucemia mieloide acuta. Riteniamo che utilizzare tecniche biochimiche e biofisiche per identificare nuovi potenziali farmaci “inibitori” sia l’approccio più promettente in questo momento».

Cosa ancora non sappiamo?

«Abbiamo ancora una conoscenza ancora limitata di quali siano gli effetti “funzionali” delle interazioni che stiamo studiando. L’utilizzo di specifici inibitori identificati in questo progetto aiuterebbe a chiarire in futuro anche questi aspetti. In generale, comunque, la prospettiva è quella di ottenere informazione su nuove molecole che potrebbero essere utilizzate in approcci terapeutici alternativi o in ulteriori fasi sperimentali per aumentarne la capacità terapeutica».

Andrea, sei mai stato all’estero per un’esperienza di ricerca?

«Sì, all’università di Goethe a Francoforte. Volevo imparare nuove tecniche e migliorare le mie competenze per poter rispondere a domande nuove nel mio progetto di ricerca».

Cosa ti ha lasciato questa opportunità?

«Ho imparato a lavorare in gruppi di ricerca molto grandi e interagire con figure professionali diverse che potevano offrirmi un supporto per ogni aspetto della mia ricerca. L’Italia ti manca quando sei consapevole che le tue capacità sono paragonabili a quelle dei nostri colleghi europei e vorresti portare nel Paese che ti ha formato professionalmente tutto quello che hai imparato».

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«La scienza è sempre stata una mia passione e mi sono sempre posto come obiettivo quello di spiegare la causa delle patologie oncologiche».

Ricordi il momento nel quale è iniziato tutto?

«Durante il mio percorso universitario, nel momento di scegliere la mia tesi di laurea, ho preso consapevolezza dei mei interessi. Ho individuato una linea di ricerca che stimolava il mio interesse in maniera viscerale e quindi ho deciso che sarebbe diventata parte della mia vita professionale».

Dove ti vedi fra 10 anni?

«Mi vedo a lavorare nel settore scientifico, forse come responsabile di un mio gruppo di ricerca I risultati negativi».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?

«Il professore universitario che mi ha seguito nella tesi della mia laurea triennale in Biotecnologie».

Qual è il messaggio più importante che ti ha lasciato?

«Si tratta di un uomo estremante curioso, mi ha insegnato a pormi delle domande e a cercare di dare una risposta attraverso lo studio e la ricerca».

In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica?

«Nella capacità di interagire e di integrare figure professionali differenti».

E in che modo e da chi, invece, potrebbe essere aiutato il lavoro di chi fa scienza?

«Una ricerca di qualità richiede finanziamenti costanti e una maggiore disponibilità di infrastrutture accessibili a un numero di utenti sempre maggiore».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«No, percepisco l’incapacità di comprendere la scienza a causa di mancanza di competenze. Però percepisco fiducia rispetto al mio lavoro, anche se a volte nella cultura politica del nostro Paese la figura del ricercatore sembra occupare un ruolo marginale».

Raccontaci di Andrea nel tempo libero

«Mi piace fare volontariato. A volte aiuto nelle mense per i meno abbienti e nella raccolta di cibo nei supermercati. Pratico attività sportiva e negli ultimi anni ho praticato crossfit».

Sei felice della tua vita?

«Sì, forse mancano delle certezze lavorative ma quasi tutto quello che mi circonda mi fa stare bene. Anche le cose negative sono ben bilanciate da aspetti positivi della mia vita».

E cosa ti spaventa?

«Essere costretto a fare un lavoro che non mi consenta di ragionare e apportare in modo costruttivo il mio contributo».

Il libro che più ti rappresenta

«Undici treni di Paolo Nori. Il protagonista si muove tra mille difficoltà emotive e familiari ma riesce a migliorare sé stesso nel suo modo di vivere e nel modo con cui si rapporta con gli altri».

Una “pazzia” che hai fatto, e una che vorresti fare

«In passato, lanciarmi con il paracadute. In futuro, mi piacerebbe attraversare la Cina da Oriente a Occidente in treno».

Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?

«Vorrei cenare con George R.R. Martin, autore de “Il trono di spade”. Come prima cosa gli chiederei di completare la sua saga. In secondo luogo, vorrei chiedergli come fa ad incastrare in un modo così perfetto personaggi e eventi nella sua linea narrativa. Vorrei avere questa capacità quando scrivo qualcosa di scientifico e devo mettere insieme in modo credibile i miei risultati».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Donare per la ricerca vuol dire aiutare e capire curare le malattie che generano sofferenza alle persone che ci circondano. Donare vuol dire essere parte di una comunità che fa ricerca scientifica per migliorare le proprie strategie terapeutiche. Forse non tutte le risposte o cure saranno accessibili in tempi bravi, ma sostenere ogni progetto di ricerca aiuta ad aggiungere un tassello nella comprensione delle cose. Questo è un aspetto fondamentale per arrivare a cure sempre più efficienti e personalizzate».


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