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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 21-02-2018

Autolesionismo: farsi male per lenire un dolore



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Dietro l’autolesionismo ci sono spesso maltrattamenti subiti nell’infanzia. Ne soffrono 17 adolescenti su cento, ma anche 5 adulti su cento

Autolesionismo: farsi male per lenire un dolore

L’autolesionismo, la voglia del farsi del male fisico da soli, ha la sua radice in abusi subiti da piccoli o nell’esser stati trascurati affettivamente?
Una meta-analisi che ha revisionato 71 studi precedenti e pubblicata su Lancet Psychiatry, suggerisce questo collegamento per un fenomeno che non è affatto raro: ne soffrirebbero il 5 per cento degli adulti, il 17 per cento degli adolescenti e il 30 per cento di adolescenti con un disturbo mentale.

AUTOLESIONISMO

Stiamo parlando di autolesionismo senza intenti di suicidio e che viene definito come una deliberata e diretta distruzione di tessuti del proprio corpo. Classici i tagli. Il suicidio non è lo scopo di queste azioni ma, dicono i ricercatori dell’indagine su Lancet, lo può diventare: l’infierire sul proprio corpo risulta, in effetti, il più forte segno premonitore di futuri tentativi di togliersi la vita. Così scrivono il professor Richard T. Liu e colleghi della Brown University di Providence (Usa) aggiungendo che la gran parte dei pazienti abbandona in pochi anni le pratiche autolesive mentre un quinto sviluppa una forma cronica.

LA “MORTE” DELL’INFANZIA

Giovanni Migliarese, psichiatra e psicoterapeuta, presso l’Ospedale Fatebenefratelli di Milano si è a lungo occupato di autolesionismo e di recente ha firmato un libro insieme con il professor Claudio Mencacci su “La salute psichica in adolescenza” dal titolo Quando tutto cambia (ed. Pacini). Libro esperto e di chiara comprensione che lo rende adatto alla lettura di genitori e insegnanti, per esempio. Nel volume si dice che la dimensione della morte è presente diffusamente nell’immaginario dell’adolescente forse perché è il momento della perdita dell’identità infantile, una specie di morte, e l’acquisizione di una nuova identità adulta. Il passo può essere arduo. Quando all’autolesionismo, viene definito come non teso a ottenere un piacere sessuale e che può avere diverse intenzionalità: distrarsi da un dolore emotivo, da ricordi penosi, da una forte rabbia o essere una violenta autopunizione per insopportabili sensi di colpa.

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FARSI DEL MALE PER STARE MEGLIO

«Paradossalmente – dice Migliarese – i comportamenti autolesivi possono valere come un modo di sopravvivere, alleviando una pena attraverso un’altra pena di intensità minore, come tagliarsi gli avambracci». Concordando con le ipotesi della Brown University, il dottor Giovanni Migliarese fa presente che già altri studi avevano collegato l’autolesionismo a traumi infantili. Il professor Liu ha distinto tra i vari maltrattamenti (abusi sessuali, abusi fisici, trascuratezza fisica, abusi emotivi e trascuratezza emotiva) indicando come l’associazione più forte con l’autolesionismo sia stata riscontrata con gli abusi emotivi e la meno pesante con la trascuratezza emotiva. Chiediamo a Migliarese che cosa si intende per “abusi emotivi” e la risposta è che indica un comportamento fatto di urla, di violenza, di atteggiamenti sadici.

I SEGNI DEI MALTRATTAMENTI

Ma maltrattamenti e deprivazione affettiva sui piccoli non restano “scritti” solo sulla psicologia. «La maggioranza degli studi su questa problematica sono di stampo psicologico, ma c’è un sostrato biologico su cui si è visto che i traumi agiscono, come se lasciassero delle cicatrici», spiega il dottor Migliarese. «Come se le violenze protratte nel tempo modificassero la struttura cerebrale». 

NON APRITE QUELLA PORTA

Piano però anche a fare inchieste sui motivi nascosti di chi ha comportamenti autolesionistici: ad aprire quella porta con mani inesperte si rischia di fomentare il disturbo, e la sofferenza, con conseguenze non prevedibili. E’ questo il commento di due studiose australiane, Lianne Schmaal e Sarah Bendall. Il dottor Migliarese condivide: «Quando una persona è indotta ad affrontare qualcosa del suo trauma, non è detto che gli faccia bene, può essere un’esperienza appunto traumatica. Bisogna avvicinarsi con le pinze e dentro un setting di cura, con chi lo conosce bene. Diversamente si può non sciogliere, ma rafforzare il trauma».

I MODI PER FARSI MALE 

Infine: i gesti autolesivi possono essere vari. «Ci sono i tagli, sì, ma anche il prendere farmaci in eccesso, il mettersi volontariamente a rischio di farsi male, fare sesso senza protezione, guidare in stato di ebbrezza. E’ il modo di rendere “concrete” le emozioni, soprattutto nell’adolescenza quando il corpo diventa centrale con le grandi trasformazioni che affronta. Da bambino ad adulto: mi ri-gioco l’identità. Così scrivo nel corpo le emozioni che non domino».

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Fonti

Childhood maltreatment and non-suicidal self-injury: a systematic review and meta-analysis, Lancet Psychiatry, 2017

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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