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Neuroscienze
Fabio Di Todaro
pubblicato il 18-12-2019

Epilessia: in quali casi può essere utile la dieta chetogenica



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La dieta chetogenica può rappresentare un'opzione terapeutica per quei casi di epilessia che non rispondono ai farmaci e non possono essere trattati chirurgicamente

Epilessia: in quali casi può essere utile la dieta chetogenica

Può un particolare regime alimentare essere d'aiuto per curare una malattia neurologica? La domanda offre lo spunto per parlare del potenziale della dieta chetogenica nel trattamento di alcune particolari forme di epilessia: quelle che non rispondono ai farmaci disponibili. La risposta è affermativa. Esistono però diverse limitazioni da considerare, che riguardano l'indicazione terapeutica, il target dei potenziali pazienti e il tasso di risposta.


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L'epilessia colpisce l'1 per cento della popolazione: poco più di 500mila persone, in Italia. La malattia neurologica si manifesta con crisi di vario tipo, spesso convulsive e talvolta fatali. Per questo è importante agire il prima possibile, con l'obbiettivo di evitarne la comparsa. Se nella maggior parte dei casi i farmaci risultano efficaci, questo non è quello che accade in un terzo dei pazienti. In simili situazioni, l'alternativa è rappresentata dall'intervento chirurgico, che prevede l'asportazione dell'area «epilettogena» del cervello (se di estensione limitata). C'è un però: soltanto il 10-15 per cento delle persone che soffre di epilessia resistente ai farmaci è candidato a entrare in sala operatoria. Per tutti gli altri, al momento, ci sono due opportunità: la stimolazione del nervo vago e la scelta della dieta chetogenica, per quella che può essere considerata a tutti gli effetti una terapia nutrizionale.

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CHE COS'E' LA DIETA CHETOGENICA?

Mentre i più comuni regimi alimentari sono costituiti da carboidrati (50 per cento), grassi (30) e proteine (20), la dieta chetogenica è basata sull’assunzione di un’alta percentuale di grassi (dal 60 e fino al 90 per cento) a scapito di carboidrati e proteine. Questo regime alimentare induce una condizione metabolica nota come chetosi fisiologica. I corpi chetonici sintetizzati dal fegato - acetone, acetoacetato, D-Beta-idrossibutirrato - vengono utilizzati per «nutrire» il cervello. Quando gli zuccheri vengono ridotti a un livello troppo basso, infatti, le cellule traggono energia dai grassi. Tutte, tranne i neuroni, che hanno bisogno per l'appunto dei corpi chetonici. In genere la chetosi si raggiunge dopo aver seguito per un paio di giorni una dieta caratterizzata da un apporto giornaliero di carboidrati compreso tra 20 e 50 grammi. La chetogenica, se adottata per un periodo limitato di tempo, ha dimostrato di poter ridurre l’appetito, indurre la perdita di peso e migliorare il tono dell’umore. Ma non si tratta di un regime alimentare semplice da seguire. Basta infatti «sgarrare» anche di poco in termini di carboidrati per indurre l’organismo a bloccare la chetosi e a utilizzare di nuovo gli zuccheri come fonte energetica. Inoltre non ci sono prove che, sul lungo periodo, i risultati siano migliori di quelli raggiunti con una dieta bilanciata.

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DIETA CHETOGENICA ED EPILESSIA: COME FUNZIONA? 

Dagli anni ’60, questa dieta ha preso piede nella terapia dell’obesità e, più di recente, è stata proposta come scelta per i pazienti affetti dal diabete, dalla policistosi ovarica, dall'acne e, per l'appunto, dell'epilessia resistente ai farmaci. A partire dal secolo scorso, infatti, si è iniziato a osservare che il digiuno ha un effetto «sedativo» nei confronti delle crisi epilettiche. È nata così, nel tempo, l'idea di ricorrere alla dieta chetogenica come opzione terapeutica per questi pazienti. Alla base del meccanismo d’azione dello schema alimentare nell’epilessia, sembrano esserci proprio i corpi chetonici prodotti per sopperire alla mancanza di glucosio. ll meccanismo d’azione vero e proprio resta però ancora parzialmente sconosciuto. In generale, il regime è ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti. Tuttavia, come tutte le terapie, anche la dieta chetogenica può presentare alcuni effetti collaterali. Questi possono sopraggiungere poco tempo dopo l’inizio (nausea, vomito, diarrea, sonnolenza, inappetenza, ipoglicemia) oppure dopo alcuni mesi (stitichezza, calcolosi renale, acidosi, alterazione di alcuni parametri ematici). 

CHI CURARE CON LA DIETA

Per queste ragioni, oltre che per la limitatezza delle evidenze disponibili, l’indicazione a seguire la terapia nutrizionale deve sempre essere posta dallo specialista. «La dieta chetogenica è una terapia dietetica non adatta a tutti i pazienti», afferma Oriano Mecarelli, responsabile dell’ambulatorio per l’epilessia dell'unità di neurofisiopatologia del policlinico Umberto I di Roma e presidente della Lega Italiana contro le Epilessie (Lice). A essere candidati al trattamento sono spesso quei pazienti che hanno alle spalle una storia clinica caratterizzata dal fallimento della terapia farmacologica e dall'impossibilità di ricorrere alla soluzione chirurgica. Prima di optare per questa soluzione, però, «occorre escludere la presenza di problemi del metabolismo che possano essere aggravati dalla dieta - aggiunge lo specialista -. E poi è necessario fornire informazioni utili alle famiglie dei pazienti per preparare i pasti, monitorare i livelli di chetosi e degli eventuali effetti collaterali».


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DIETA CHETOGENICA: PER QUANTO TEMPO?

Quello che si è visto è che più precoce è l’inizio del trattamento con la dieta chetogenica, maggiori sono le probabilità di successo. La terapia nutrizionale va seguita per un tempo limitato. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Epilepsia Open, per i bambini che ottengono un controllo delle crisi maggiore del 50 per cento, la dieta può essere «somministrata» per un periodo anche di due anni, a meno che non compaiano effetti collaterali che richiedano la sospensione del trattamento. Il piano può essere invece adottato più a lungo, invece, se nel tempo si osserva una remissione del 90 per cento delle crisi epilettiche, con effetti collaterali quasi nulli. 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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