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Neuroscienze
Redazione
pubblicato il 08-02-2012

Il bisturi cybernetico che cura il trigemino



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Una delle nevralgie più dolorose ora viene operata con il Cyberknife, un’apparecchiatura che si è dimostrata prodigiosa soprattutto nei tumori cerebrali

Il bisturi cybernetico che cura il trigemino

Una delle nevralgie più dolorose ora viene operata con il Cyberknife, un’apparecchiatura che si è dimostrata prodigiosa soprattutto nei tumori cerebrali

Già noto per il trattamento di lesioni oncologiche e di volumi ridottissimi (dai 4 ai 10 millimetri) in organi delicati o di piccole dimensioni, quali il cervello e la prostata, il Cyberknife è oggi sperimentato con successo (benché il numero di casi sia ancora limitato) anche nel trattamento delle nevralgie del trigemino di tipo funzionale. Una patologia di natura benigna che causa un dolore intenso lungo il nervo del trigemino, con sensibili ripercussioni sulla qualità della vita. L’estrema precisione del Cyberknife consente di concentrare sul nervo circa 200 fasci di radiazioni sottili 5 millimetri al fine di ottenere, con una singola somministrazione della radiochirurgia robotica, la remissione della sintomatologia dolorosa.

L’APPARECCHIATURA– Presente ancora in pochissime strutture italiane (una a Vicenza e due a Milano), il Cyberknife, che è simile ad un acceleratore lineare compatto ma dotato di un braccio robotico controllato da un software molto sofisticato, è un vero e proprio bisturi cibernetico, capace di orientarsi in tutte le direzioni così da garantire molte posizioni differenti di erogazione del fascio di raggi. Il computer calcola i percorsi migliori per colpire ‘intelligentemente’ la lesione spostando di volta in volta il braccio in modo da seguire con precisione millimetrica le variazioni posturali del paziente, perfino quelle causate dal respiro, superando in questo modo l’obbligo di assoluta immobilità richiesta dai sistemi attuali. Spostamenti che sono guidati anche dall’acquisizione di immagini radiologiche (particolarmente utili in caso di patologie oncologiche) che vengono aggiornate in continuazione nel corso del trattamento. «La macchina – spiega Laura Fariselli, direttrice del Dipartimento di Radioterapia dell’Istituto Neurologico Besta di Milano - , è in grado di utilizzare le immagini Tac, Pet (tomografia ad emissioni di positroni) e Rmn (risonanza magnetica nucleare) acquisite prima del trattamento per localizzare il tumore, pianificare l’intervento e focalizzare l’irradiazione con la massima efficacia, limitando in questo modo gli effetti collaterali sui tessuti sani». Caratteristiche, queste, che sono prerogativa di una maggiore guarigione, minore tossicità e di una migliore qualità di vita del paziente.

INDICAZIONI TERAPEUTICHE– Il maggior utilizzo del Cyberknife, a parte qualche differente esperienza sporadica, resta ancora correlata al trattamento di lesioni oncologiche molto piccole e dai margini ben definiti. Tanto che oggi il 60% di pazienti con tumori al polmone, al fegato, al pancreas e alla prostata ed il 40% con lesioni a carico del cervello vengono trattati con questa metodica. «Le potenzialità tecniche dell’apparecchiatura - continua la Fariselli - rendono il bisturi particolarmente indicato nel trattamento di tumori localizzati in diverse parti del corpo, quali tumori e metastasi cerebrali (anche con diametro superiore ai 4 cm), tumori alle cartilagini o ai tessuti molli, craniofaringiomi, meningiomi, tumori primitivi e secondari del midollo spinale o della colonna vertebrale, tumori del fegato e dei polmoni, se periferici, ed anche della prostata». Le indicazioni terapeutiche possono essere estese anche a lesioni tumorali situate in vicinanza di strutture od organi molto sensibili o a tumori considerati inoperabili perché troppo a rischio.

RISULTATI PRELIMINARI– Lo studio ora in corso è ancora in fase di sperimentazione ed occorre un follow-up più ampio per comprovare in maniera definitiva l’efficacia ed il miglioramento anche in termini di sopravvivenza del Cyberknife, rispetto alla terapia tradizionale. Ma gli incoraggianti risultati preliminari aprono nuove aspettative anche per il trattamento di patologie funzionali, come il tremore nella malattia di Parkinson. Sarà il tempo a dare o meno ragione.

Francesca Morelli


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