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Oncologia
Francesca Morelli
pubblicato il 08-09-2014

Un test sul sangue per definire il rischio di tumore al seno?



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L'esame potrebbe riconoscere le probabilità di malattia in assenza di familiarità

Un test sul sangue per definire il rischio di tumore al seno?

Stabilire il rischio di sviluppare un tumore del seno, anche in assenza di familiarità, ossia di alterazioni del gene Brca1 : sarebbe questo l’obiettivo di un test, attuato sul sangue, studiato dalla University College London ed i cui risultati sono stati presentati sulla rivista Genome Medicine.

LO STUDIO

Ha preso in considerazione due grossi campioni di donne, afferenti le une agli studi del “MRC National Survey of Health and Development” e le altre all’ “UK Collaborative Trial of Ovarian Cancer Screening”. Sottoposta a prelievo di sangue all’inizio dello studio, e in assenza di malattia, quest’ampia popolazione di donne è stata monitorata nel tempo con l’obiettivo di identificare il rischio potenziale di sviluppare un tumore del seno, nascosto nel DNA. Per arrivare all’obiettivo i ricercatori hanno confrontatole informazioni genetiche, o meglio epigenetiche derivate da Dna estratto da prelievi ematici, con la comparsa la malattia.

«Siamo così riusciti a scovare - spiegano i ricercatori - delle ‘firme genetiche’ comuni, presenti nel genoma delle donne colpite dalla malattia». La novità starebbe nel fatto che quella particolare firma potrebbe aiutare a selezionare le donne con un rischio maggiore di tumore al seno, siano esse portatrici o meno di mutazione nel gene Brca1, il principale fattore di rischio genetico, e dove l’assenza di quella particolare ‘firma’ nel genoma sembrerebbe correlarsi direttamente all’improbabilità di sviluppare malattia presente o futura.

 

IL PARERE DELL’ESPERTO

«Il test proposto dallo studio - commenta la dottoressa Maria Adelaide Caligo, responsabile della Sezione di Genetica Oncologica dell’Azienda Ospedaliera di Pisa - è potenzialmente interessante, ma per essere applicato in maniera efficace nella pratica clinica deve essere attentamente validato in gruppi più numerosi e più omogenei di donne. Infatti il risultato più significativo è stato ottenuto in un gruppo di soli 19 carcinomi invasivi della mammella. Questo tipo di approccio potrà sicuramente migliorare il potere predittivo dei modelli epidemiologici, ma non certo sostituire lo screening genetico derivante dalla applicazione delle nuove tecnologie di sequenziamento genomico».


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