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Oncologia

Glioblastoma, un nuovo fronte si apre nel microambiente cerebrale 

Un progetto di ricerca sul recettore ACKR3 svela il ruolo degli astrociti nel favorire la crescita del glioblastoma, aprendo nuove prospettive terapeutiche. Lo studio di Erika Coletto.

Il glioblastoma è il tumore maligno primario più comune del cervello. È rapido, invasivo, resistente ai trattamenti e con un tasso di recidiva altissimo. In questo scenario critico, il progetto della ricercatrice Erika Coletto, vincitrice di una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi, si concentra su una nuova strategia: colpire non il tumore in sé, ma il microambiente che lo circonda. In particolare, gli astrociti, cellule cerebrali che normalmente supportano i neuroni, sembrano trasformarsi in alleati del tumore, facilitandone la crescita.

La sua ricerca, portata avanti presso l’IRCCS San Camillo di Venezia, studia il ruolo del recettore ACKR3, una proteina che potrebbe rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico per fermare la progressione della malattia. Se validato, ACKR3 potrebbe aprire la strada a trattamenti innovativi per uno dei tumori più difficili da curare.

Erika perché ti interessa studiare i tumori del cervello?

Se non avessi fatto il ricercatore, credo che avrei fatto la Psichiatra o il Neurochirurgo, perché lo studio del cervello, come il glioblastoma, è sempre stato di grande interesse per me. In particolare, mi interessa approfondire le mie conoscenze sulle malattie del cervello e per studiarne i meccanismi e sviluppare terapie più efficaci.

Perché è importante studiare il glioblastoma?

Il glioblastoma è il tumore cerebrale maligno più comune e purtroppo anche uno dei più aggressivi. Cresce molto rapidamente, si infiltra nei tessuti circostanti e tende a tornare anche dopo il trattamento. Ancora oggi ha una prognosi molto grave e un'aspettativa di vita media che non supera i 14 mesi. La sua eterogeneità e complessità rendono difficile sia eliminare il tumore sia fare progressi significativi nella terapia farmacologica. È quindi fondamentale contribuire con le nostre conoscenze sulla fisiologia e biologia dell’ambiente tumorale per comprendere meglio le interazioni tra il tumore e le cellule circostanti. 

L’ambiente tumorale che influenza ha sul tumore?

Una delle cose più interessanti che la ricerca ha scoperto è che non sono solo le cellule tumorali a giocare un ruolo nella malattia, ma anche ciò che le circonda, che chiamiamo microambiente tumorale. Le cellule sane presenti intorno al tumore possono in realtà favorirne la crescita e la progressione, il che le rende potenziali bersagli per nuove terapie. Tra queste, ci sono gli astrociti, un tipo di cellule gliali del cervello, sembrano avere un ruolo chiave nel sostenere il tumore. 

Parlaci meglio del ruolo degli astrociti

Gli astrociti svolgono un ruolo complesso e ancora non del tutto compreso nel contesto del glioblastoma. Noi siamo interessati ad investigare i meccanismi molecolari che stanno alle base della comunicazione glioblastoma-astrocita. In particolare, vogliamo capire come gli astrociti normali vengano “corrotti” o stimolati dal glioblastoma per favorirne crescita e invasività.  Abbiamo osservato, infatti, che un particolare recettore, chiamato ACKR3, aumenta negli astrociti che circondano il glioblastoma, mentre in assenza di ACKR3 si ha una riduzione importante del tumore. Il recettore ACKR3 interviene nel riconoscimento e inglobamento della parte finale dei neuroni da parte degli astrociti, un processo denominato neurofagia, creando così spazio per la progressione tumorale.

Cosa comporta il vostro studio?

Lo scopo del mio progetto è indagare come molecole rilasciate dal glioblastoma inducano la neurofagia mediata da ACKR3 negli astrociti. ACKR3 rappresenta un interessante bersaglio farmacologico per bloccarne la funzione e migliorare i risultati del trattamento.

Durante quest’anno, ci concentreremo quindi a testare determinate molecole che, legandosi a questi recettori, ne influenzino l’attività. Inoltre, verificheremo in vitro se i cambiamenti fisiologici astrocitari siano specifici per il glioblastoma o anche per altri tumori cerebrali con origine diversa. 

Quali prospettive apre?

Con il nostro lavoro ci impegniamo a contribuire alla comprensione del ruolo degli astrociti nel microambiente tumorale e a verificare l’importanza di specifici recettori come potenziali bersagli terapeutici. Inoltre, esponendo gli astrociti a diversi tipi di cellule tumorali, oltre a quelle di glioblastoma derivate da pazienti, vogliamo a chiarire il ruolo di queste cellule gliali nella comunicazione con tumori cerebrali aggressivi, aprendo nuove prospettive per terapie più mirate ed efficaci.

Raccontaci della tua lunga esperienza all’estero

Dopo Laurea Specialistica in Neurobiologia presso l’Università degli Studi di Pavia, sono andata al King’s College di Londra, dove per quasi due anni ho lavorato ad un progetto mirato alla comprensione dei sintomi non motori del Parkinson. Ho poi conseguito il mio Dottorato di Ricerca presso l’Università di East Anglia a Norwich, in Inghilterra. Qui per 4 anni mi sono focalizzata sullo studio di specifici ceppi del microbiota intestinale sulla fisiologia cerebrale. A quasi un anno e mezzo dal dottorato, ho deciso poi di ritornare in Italia e continuare qui a fare ricerca. 

Cosa ti ha spinto ad andare all’estero?

Sono stata spinta da uno spirito di curiosità e comunque una serie di fattori e scelte mi hanno portata all’estero. Sono stati anni belli e ho tanti bei ricordi. A livello lavorativo mi piaceva molto il clima internazionale che si respirava nei laboratori e l’apertura alle collaborazioni. Era un continuo imparare. 

Cosa ti affascina della biologia e della ricerca? 

Sono sempre stata incuriosita dalla ricerca e dai misteri della biologia.  Avevo le farfalle allo stomaco ogni volta che imparavo una cosa nuova o che vedevo delle cellule al microscopio. Fare cose diverse ogni giorno, progetti nuovi e le sfide giornaliere. La possibilità di contribuire concretamente all’avanzare della scienza è di certo impagabile. 

In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica? 

È importante fare divulgazione il più possibile e informare il pubblico di quello che avviene nei laboratori e di cosa sia davvero la ricerca, evitando di lasciare voce ai media che molto spesso non riescono a distinguere tra scienza e pseudoscienza. Quindi penso sia necessaria più divulgazione da parte dei ricercatori.

Perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?

Le donazioni finanziarie permettono ai ricercatori di condurre studi, sviluppare nuove tecnologie e trovare soluzioni a problemi complessi. Senza fondi, molte ricerche non potrebbero essere portate avanti. La ricerca scientifica è fondamentale per comprendere le malattie, sviluppare nuovi farmaci e migliorare le cure mediche. Donare contribuisce a salvare vite umane e a migliorare la qualità della vita.

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

Vorrei dire un gigantesco grazie. Vorrei dire che stanno facendo un’azione importante non solo per le persone affette da una determinata malattia, ma per la comunità intera. La ricerca scientifica è spesso un percorso lungo e complesso, ma ogni passo avanti è un passo verso la cura di malattie e loro sono parte fondamentale di questa speranza. 

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