Il carcinoma infiammatorio della mammella è una forma rara e aggressiva di tumore al seno: rappresenta tra l’1 e il 5% delle diagnosi e si manifesta in modo atipico, con gonfiore e arrossamento diffusi che possono farlo scambiare per una mastite. In genere non è presente un nodulo palpabile e la malattia tende a essere già localmente avanzata alla diagnosi.
Questa neoplasia si caratterizza per l’infiltrazione da parte di cellule tumorali dei vasi linfatici cutanei della mammella: l’ostruzione del drenaggio linfatico determina edema e arrossamento cutaneo (da qui il termine “infiammatorio”). Proprio per la crescita diffusa nei piani cutanei e sottocutanei, spesso non è individuabile un nodulo alla palpazione, a differenza di molte altre forme di carcinoma mammario.
Non esistono fattori di rischio specifici del carcinoma infiammatorio; valgono quelli generali del tumore alla mammella (età, storia riproduttiva/ormonale, sovrappeso/obesità, familiarità/genetica), con il comune denominatore dell’esposizione cumulativa agli estrogeni durante la vita. In assenza di uno screening specifico per questa forma, la “prevenzione secondaria” passa soprattutto dal riconoscimento tempestivo dei segni sospetti e dal rapido accesso alla valutazione specialistica.
Per combattere i tumori femminili la ricerca ha bisogno di te
Il quadro clinico tipico comprende mammella gonfia, arrossata, calda, talvolta con ispessimento cutaneo a “buccia d’arancia”, dolorabilità variabile, cambiamenti del capezzolo e aumento di volume dei linfonodi ascellari/sovraclaveari. Il carcinoma infiammatorio della mammella può esordire anche durante l’allattamento con rischio di scambiarlo per mastite; se una terapia antibiotica non risolve i sintomi in breve, è essenziale procedere con ulteriori accertamenti.
Diagnosi
La diagnosi richiede un iter rapido. Gli esami di imaging (mammografia ed ecografia) sono il primo passo; nei casi selezionati la risonanza magnetica contribuisce a definire l’estensione locale quando i reperti sono poco specifici o il tessuto interessato è prevalentemente cutaneo. La biopsia è indispensabile per la conferma istologica e per lo studio dei biomarcatori (recettori ormonali e HER2), tenendo conto che l’assenza di un nodulo non esclude la malattia e che il prelievo può essere guidato dall’imaging sulle aree più sospette.
Per la natura diffusa e aggressiva del carcinoma infiammatorio, il trattamento segue una strategia multimodale. La terapia sistemica neoadiuvante è spesso il primo passo per rendere operabile la malattia: nelle forme triplo negative si impiega chemioterapia associata a pembrolizumab e, in caso di malattia residua dopo la chirurgia, capecitabina come trattamento post-operatorio; nelle forme HER2-positive si utilizza chemioterapia con trastuzumab e pertuzumab in neoadiuvante e, se permane malattia residua, trastuzumab-emtansine (T-DM1) in adiuvante. Queste indicazioni sono oggi autorizzate/rimborsate in Italia e raccomandate nei percorsi terapeutici che includono il carcinoma infiammatorio tra le forme localmente avanzate ad alto rischio. Dopo la risposta alla terapia sistemica, si procede — quando possibile — con mastectomia e dissezione ascellare, seguite da radioterapia sul torace e sui distretti linfonodali a rischio.
Prognosi e sopravvivenza
Il carcinoma infiammatorio della mammella è una forma rara e particolarmente aggressiva di tumore al seno, che rappresenta circa l’1-5% di tutti i casi. Al momento della diagnosi è sempre, almeno localmente, in stadio avanzato (stadio III), poiché le cellule tumorali hanno già invaso la pelle, e in circa un terzo dei casi si riscontra già la presenza di metastasi a distanza (stadio IV). Questa caratteristica, unita alla rapidità di crescita e alla maggiore probabilità di recidiva rispetto ad altri sottotipi, incide negativamente sulla prognosi.
Secondo i dati del Surveillance, Epidemiology, and End Results (SEER) database del National Cancer Institute, analizzati dalla American Cancer Society e relativi a donne diagnosticate tra il 2015 e il 2021 negli Stati Uniti, la sopravvivenza relativa a 5 anni varia in base all’estensione della malattia al momento della diagnosi:
- 53% nelle forme regionali, ossia quando il tumore si è diffuso a strutture o linfonodi vicini, ma non a distanza;
- 22% nelle forme metastatiche (distant stage), con diffusione a organi come polmoni, fegato o ossa;
- 40% considerando tutti gli stadi SEER complessivamente.
Questi dati, pur evidenziando una prognosi meno favorevole rispetto ad altri tipi di carcinoma mammario, non devono essere interpretati come predittivi per ogni singola persona. Infatti, fattori come età, stato generale di salute, grado istologico del tumore, caratteristiche molecolari e risposta alle terapie possono influenzare significativamente l’andamento della malattia. Inoltre, i progressi terapeutici degli ultimi anni — inclusa l’introduzione di nuovi farmaci mirati e combinazioni di trattamenti — stanno migliorando l’aspettativa e la qualità di vita delle pazienti, motivo per cui i tassi di sopravvivenza attuali potrebbero essere più alti rispetto a quelli riportati dalle statistiche storiche.
Le 5 domande più frequenti sul carcinoma infiammatorio della mammella
No. A differenza della maggior parte dei tumori al seno, l’IBC spesso non si manifesta con un nodulo palpabile. I sintomi più comuni sono gonfiore, arrossamento e ispessimento della pelle, a volte con aspetto “a buccia d’arancia”, dovuti all’ostruzione dei vasi linfatici cutanei da parte delle cellule tumorali.
È una forma poco frequente, che rappresenta circa l’1-5% di tutti i tumori della mammella. Nonostante la rarità, è una delle forme più aggressive e richiede una diagnosi e un trattamento tempestivi.
Per definizione, quando viene diagnosticato, l’IBC ha già invaso la pelle (stadio III) e in circa un terzo dei casi presenta metastasi a distanza (stadio IV). Ciò avviene perché la malattia si sviluppa e si diffonde molto rapidamente.
La guarigione è possibile se la diagnosi avviene prima della diffusione a distanza, grazie a trattamenti multimodali che combinano chemioterapia, chirurgia, radioterapia e, quando indicato, terapie mirate. Nelle forme metastatiche, le cure mirano a controllare la malattia, prolungare la sopravvivenza e mantenere la migliore qualità di vita possibile.
L’IBC ha una prognosi meno favorevole rispetto ad altri sottotipi, a causa della sua aggressività e della maggiore probabilità di diffusione precoce. Tuttavia, i progressi terapeutici stanno migliorando i tassi di sopravvivenza, specialmente grazie all’uso di nuove combinazioni di farmaci e trattamenti personalizzati
NOTA BENE: Le informazioni contenute in questa pagina non sostituiscono il parere e le spiegazioni del tuo medico.