Non è solo l’infiammazione a determinare il decorso della malattia di Crohn. Un ruolo chiave lo gioca anche il grasso che avvolge l’intestino. A mostrarlo è uno studio di Stanford Medicine pubblicato su Cell, che identifica nel cosiddetto “creeping fat” -letteralmente “grasso strisciante”- un fattore attivo nel peggioramento della malattia. Questo tessuto adiposo favorisce la formazione di cicatrici fibrose, ispessisce la parete intestinale e porta alla comparsa di stenosi, restringimenti che complicano in modo significativo il quadro clinico.
«Per molti pazienti la malattia è fonte di una sofferenza continua -spiega il chirurgo Jeong Hyun- perché non è possibile prevedere quando e per quanto tempo i sintomi finiranno per compromettere la qualità della vita».
Hyun è tra i chirurghi che trattano le complicanze della malattia di Crohn intervenendo sulle stenosi fibrose, attraverso la resezione di tratti di intestino quando il restringimento diventa clinicamente rilevante.
CICLI DI INFIAMMAZIONE DOLOROSI
La malattia di Crohn è una patologia cronica dell’intestino che coinvolge soprattutto la regione di passaggio tra intestino tenue e crasso. In genere esordisce nell’adolescenza o nei giovani adulti ed è caratterizzata da cicli di infiammazione intestinale. Chi ne è affetto soffre di dolori addominali, diarrea, malnutrizione, perdita di peso e stanchezza.
Studi precedenti avevano già evidenziato che le cicatrici fibrose si formano in particolare nelle aree intestinali dove è presente una maggiore quantità di creeping fat. Questo grasso, che rappresenta un segno distintivo della malattia di Crohn, si sviluppa quando il grasso sano che circonda l’intestino -normalmente sottile e flessibile, chiamato mesentere- risponde a un’infiammazione cronica diventando progressivamente più spesso e rigido, fino a racchiudere l’intestino malato.
TASSI DI RECIDIVA MOLTO ALTI
Esistono farmaci anti-infiammatori in grado di controllare i sintomi e migliorare la qualità di vita dei pazienti, ma non riescono a prevenire i restringimenti fibrosi, che possono interessare fino all’80 per cento dei casi che non rispondono alle terapie. Anche la chirurgia non rappresenta una soluzione definitiva, perché «il tasso di recidiva è molto alto e non si può ricorrere agli interventi all’infinito», sottolinea il dottor Kristian E. Bauer-Rowe, primo autore dello studio.
Lo studio è commentato dalla dottoressa Maria Cappello, responsabile dell’Ambulatorio per le malattie infiammatorie intestinali del Policlinico di Palermo. «Con le stenosi il decorso della malattia si complica -osserva- e provoca dolore. Se il restringimento è marcato, può portare a una occlusione intestinale, una condizione pericolosa che rende necessario l’intervento chirurgico».
DALLA CHIRURGIA ALL’INTESTINO CORTO
L’intervento chirurgico può dare un sollievo temporaneo, ma non definitivo. «Dopo un anno -spiega la dottoressa Cappello- compaiono spesso già i segni di una ricaduta».
Il numero di interventi, però, non può essere illimitato. «C’è chi ne ha subiti tre o quattro, ma esiste un limite rappresentato dal cosiddetto “intestino corto”, una condizione che comporta problemi di malassorbimento. I nutrienti vengono assorbiti attraverso la parete intestinale e, se questa è ridotta, l’organismo non riesce più a svolgere correttamente questa funzione».
«Oggi disponiamo di terapie biologiche che modulano il sistema immunitario e sono efficaci nel controllare l’infiammazione – aggiunge Cappello – ma non abbiamo ancora strumenti in grado di fermare la fibrosi. Il creeping fat, da cui siamo partiti, è uno dei fattori che contribuiscono a peggiorare la malattia proprio attraverso la produzione di fibrosi».
IL GRASSO CONTIENE FIBROBLASTI
Analizzando campioni di tessuto di pazienti con Crohn, i ricercatori hanno dimostrato che il creeping fat contiene fibroblasti, cellule in grado di produrre tessuto fibrotico. Nello studio si fa riferimento anche a un esperimento condotto sui topi, in cui una molecola capace di agire sui fibroblasti del grasso -un inibitore del segnale Yap/Taz- ha bloccato i meccanismi molecolari responsabili della fibrosi. Gli animali trattati hanno sviluppato meno stenosi.
È un segnale di possibile apertura terapeutica. Per ora, sul fronte delle “cicatrici” intestinali, la ricerca è ancora all’inizio. Ma il bersaglio è stato individuato.


