Credevo fosse stress, quel peso sul petto. Poi il crollo, in ufficio, ma nessuno si allarma: una donna, attiva, in forma, che non fuma non ha un infarto. E invece…
Un lunedì mattina come tanti, di corsa al lavoro, arrivo in tempo nonostante il tempaccio e meno male – penso – perché ho una montagna di cose da fare. La testa non si ferma, ci sono mille preoccupazioni, mia madre, anziana, non sta bene, e anch’io la notte precedente non ho riposato per nulla.
Il finesettimana era stato tranquillo, una partita a golf, poi in ospedale dalla mamma. Eppure nel letto un dolore molto forte al braccio sinistro (“possibile un movimento fatto male giocando?” mi chiedevo) e un forte senso di oppressione al torace, come se un gigante si fosse seduto sul mio petto. “Devo mangiare più leggero, la sera, e stressarmi di meno…” mi ripetevo. Era un momento difficile, e dovevo affrontare tutto da sola, dopo la separazione da mio marito. Era stata dura, ma in fondo ero fiera di me e di come ero riuscita a tenere le redini della mia vita. In più, in primavera sarei finalmente diventata nonna! Questo bastava a diradare le nubi.
E pensare che dovevo anche averlo letto da qualche parte: il lunedì si muore di più di infarto. Eppure il pensiero di stare correndo un pericolo così serio neppure mi aveva sfiorato. Battevo sui tasti in fretta, il professore – lavoravo per un medico, un ematologo – era nell’altra stanza. All’improvviso una fitta, smetto di scrivere, non riesco a parlare, a respirare, mi pare d’avere un coltello nel petto. Mi dicono che sono caduta. Qualcuno mi offre un bicchiere d’acqua. “Stanchezza”, “stress” sento dire nella concitazione.
Mi chiedo se fossi stata un uomo, magari un po’ in sovrappeso, chissà, ci avrebbero pensato prima… Invece nessuno poteva credere che io, la “ginnica” Laura, avessi un cuore che fa cilecca. Alla fine, ecco, dritta al pronto soccorso. Lì è bastato un elettrocardiogramma, seguito poi da una coronarografia, per riconoscere la bestia infida che mi stava aggredendo: un’ischemia coronarica.
Uno dei vasi che dovevano garantire un apporto di sangue e ossigeno sufficiente al mio cuore si era ristretto, tanto da provocare un infarto. Sono una che si informa, so che ci si mantiene sani volendosi bene, so che soprattutto passati i 50 non si deve dare nulla per scontato. Appunto. Io, proprio io, in palestra da 30 anni, niente sigarette, sempre in linea, io con un infarto? Non ci potevo credere. Per quel poco che riuscivo a pensare, in quei tre giorni di terapia intensiva, di monitor e di medici pensosi e preoccupati, mi sentivo tradita. Ero già stata malata, avevo avuto una brutta epatite che mi aveva fato entrare e uscire dagli ospedali per lungo tempo. Ma quello scherzo a tradimento del cuore, davvero mi faceva paura.
Ne sono uscita piano piano, per fortuna per la mia terapia sono bastati i farmaci. Prendo tutti i giorni i farmaci per la pressione. Faccio i controlli regolarmente. La mia medicina quotidiana, però, sono quelle pesti dei miei nipotini (nel frattempo sono diventati due), vado a prenderli a scuola, andiamo al parco, giochiamo e parliamo. Vado tre volte a settimana in palestra, niente di pesante, molto allungamento, il sabato e la domenica cerco di stare all’aperto, magari sui campi da golf. Insomma, sul divano a vedere la tv ci sto ben poco. Non mangio carne, ma tanta frutta e verdura, adoro lo yogurt. Basterà? Non posso saperlo, però so che così vivo bene. E so anche che del cuore delle donne bisogna parlare, perché troppo spesso ci si dimentica che il rischio non riguarda solo gli uomini. Ho partecipato ad alcune iniziative dell’ALT, Associazione per la Lotta alla Trombosi, e lì ho imparato che nel mondo il 55% delle donne muore per infarto, ictus, embolia o trombosi. Racconto la mia storia per dire a tutte: abbiate cura di voi.
Laura, 55 anni