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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 19-06-2020

Depressione: più fiducia se si riconosce il «peso» della biologia



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Se la depressione viene «ricondotta» perlopiù alle cause biologiche, lo stigma sociale nei confronti dei malati si riduce. E aumenta la fiducia nelle cure

Depressione: più fiducia se si riconosce il «peso» della biologia

«Le persone convinte che la depressione abbia perlopiù un'origine biologica, tendono a pensare che la malattia sia più grave e di lunga durata rispetto a quanti credono che le cause iscritte nel Dna giochino un ruolo trascurabile. Allo stesso tempo, i primi tendono anche a essere più ottimisti sull’efficacia delle cure». È quanto afferma Sarah Mann, ricercatrice in psicologia generale alla Rutgers University (New Jersey) e prima firma di uno studio pubblicato sul Journal of Mental Health. L'indagine, portata avanti intervistando 319 persone e interrogandole su credenze, atteggiamenti ed esperienze in tema di depressione (e relative terapie), ha svelato un aspetto interessante nell'ottica di accrescere anche la considerazione sociale della malattia. Chi è convinto che la depressione si «diffonda» su base genetica (o si manifesti per un cambiamento nella struttura cerebrale), meno di frequente nutre atteggiamenti negativi nei confronti di chi ne soffre.

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«A livello scientifico, sappiamo poco su cosa la gente pensi della depressione e dei sentimenti che provano nei confronti di chi ne soffre», afferma il co-autore dello studio, lo psicoterapeuta Richard Contrada. «Quel che à certo, però, è che questi atteggiamenti possono influenzare le decisioni di chi è malato sul cercare o meno una cura per la depressione. Oltre a pesare sull'atteggiamento che si assume nei confronti dei depressi, a partire da pregiudizi e discriminazioni». Ai partecipanti alla ricerca, poco meno della metà dei quali aveva già affrontato un episodio depressivo, è stato chiesto di leggere una descrizione della malattia e di far sapere se ne fossero stati o meno colpiti. Dopodiché, i ricercatori hanno chiesto loro se avessero certezza o se sospettassero che a soffrirne fosse anche un coniuge, un genitore, un fratello o un amico stretto. Risultato? Chi ha riportato di avere avuto un contatto «ravvicinato» con la depressione (personale o no), ha espresso atteggiamenti meno negativi verso i depressi, una maggiore accettazione. Tra queste persone, è prevalso il ritenere che le origini della depressione siano soprattutto biologiche. Un atteggiamento che, come conseguenza, ha determinato una maggiore comprensione nei confronti dei malati.


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«Sareste disposti a proporre un depresso per un posto di lavoro?». «Lo presentereste ai vostri amici?» Queste sono due delle altre domande poste ai partecipanti allo studio. Dalle risposte si evince che molto contano le eventuali esperienze pregresse. E l’idea della depressione come malattia a base (prevalentemente) biologica, che aiuta chi ne soffre ad avere meno sensi di colpa e a cercare una terapia. «Lo studio evidenzia quanto pregiudizio ci sia ancora nei confronti della depressione, che rimane la malattia psichiatrica più frequente - è il commento di Donatella Marazziti, associato di psichiatria all’Università di Pisa -. Gli autori hanno ottenuti risultati interessanti, soprattutto sottolineando come gli individui che hanno sofferto di depressione, presentano una maggiore comprensione nei confronti di chi convive con lo stesso problema». 

AFFRONTARE LO STIGMA SOCIALE

Un atteggiamento riscontrato anche tra coloro che ritengono il ruolo della neurobiologia maggiormente nell'origine della depressione. Partendo da questa consapevolezza, pur precisando che si tratta di una malattia sempre determinata dalla concomitanza di più fattori (genetici, biologici e psicosociali), i ricercatori hanno rilevato anche una maggiore propensione alle cure. Un aspetto che concorre a far crescere i tassi di guarigione. «La consapevolezza delle possibili cause biologiche della depressione sembra in grado di ridurre lo stigma sociale legato alla malattia - conclude la specialista -. Di questo aspetto occorrerebbe tenere conto nei programmi di psicoeducazione e nei contesti clinici e di sanità pubblica». Infine, i soggetti che non avevano avuto un'esperienza personale e familiare di depressione, hanno mostrato più di frequente pregiudizi nei confronti della malattia. 

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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