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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 12-02-2021

Una visita dopo una degenza in psichiatria può salvare la vita



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Dopo un ricovero a causa di una malattia psichiatrica, permangono dei rischi. Per ridurli, può bastare anche un controllo entro una settimana

Una visita dopo una degenza in psichiatria può salvare la vita

Il momento della dimissione dall’ospedale dopo una degenza è sempre delicato. Nel caso di ricoveri per problemi psichiatrici, lo è molto di più. E arriva a comprendere anche il rischio di suicidio. Da una struttura di protezione e cura, il paziente può sentirsi «abbandonato» e sprofondare in una crisi profonda. Non accade a tutti, ma il problema è noto e consistente. E rappresenta una difficoltà soprattutto tra i giovani malati psichiatrici. Una ricerca della Ohio University (Stati Uniti) mostra come questo fenomeno si possa attenuare se il ragazzo o la ragazza dimessi dal reparto di psichiatria ricevono una visita di controllo mentale entro sette giorni dal ritorno a casa.


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MIGLIORARE LA TRANSIZIONE

Pubblicato sulla rivista Jama Network Open, lo studio dichiara che, così facendo, il rischio suicidario si abbassa del 56 per cento nei sei mesi seguenti. Cynthia Fontanella, una delle ricercatrici, nota: «Alla fine di un ricovero psichiatrico si sono registrati, senza alcuna diminuzione, alti livelli di suicidio per decenni. Questo indica la necessità di migliorare la transizione da paziente ricoverato a paziente ambulatoriale». A tale scopo, sono stati presi in esame i dati di circa 140 mila giovani di età 10-18 anni in 33 Stati americani che erano stati ricoverati in un reparto psichiatrico tra gennaio 2009 e dicembre 2013. Controllando poi i registri di morte, i ricercatori sono arrivati al calcolo dei suicidi. Sui 140mila degenti psichiatrici poi dimessi, hanno verificato che il 56.5 per cento avevano ricevuto una visita sullo stato mentale entro sette giorni dopo il rientro a casa. E questo dato si è visto corrispondere a una diminuzione del 56 per cento del rischio suicidario.


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In contrasto con queste constatazioni, è risultato che giovani neri non ispanici, più vecchi, con altri disturbi, portati ad atti di autolesionismo o, infine, che avevano problemi di droga, ebbene con questi ragazzi è stata più rara la visita psichiatrica entro una settimana dalla dimissione. «Questa disparità è inaccettabile - ha scritto David A. Brent (Università di Pittsburgh) in un commento alla ricerca -. È necessario sanare le differenze verso i giovani di colore. Come è necessario istituire ponti efficaci tra l’uscita dall’ospedale e il ritorno a casa». L’importanza della presa di contatto con gli psichiatri entro una settimana dal rilascio è ulteriormente sottolineata da queste cifre crude che Brent riporta: tra 2007 e 2017 i tentativi di suicidio tra giovani di colore sono aumentati del 74 per cento e le morti per suicidio dell’89 per cento, «dati ben superiori a quelli registrati per i giovani bianchi». Sono percentuali che mostrano quanto più a rischio, in ogni caso, è la popolazione di adolescenti di colore.


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ALCUNI PAZIENTI MAGGIORMENTE IN PERICOLO

Abbiamo chiesto cosa succede in Italia dopo la dimissione di giovani da reparti psichiatrici a Bernardo Maria Dell’Osso, direttore della clinica psichiatrica dell’Ospedale Sacco di Milano: «È noto come i giorni e le settimane successive alle dimissioni da un ricovero psichiatrico presentino un potenziale aumento del rischio suicidario. Occorre, tuttavia, sottolineare che tale rischio riguarda in particolare quei pazienti che presentino specifici fattori di rischio per comportamenti suicidari quali pregressi tentativi, familiarità per suicidio, ideazione suicidaria e condizioni sociali, familiari o lavorative avverse». Continua lo specialista: «Inoltre, l'abuso di sostanze stupefacenti e di alcol rappresentano due condizioni in grado di aumentare il rischio suicidario e siamo soliti osservarne la presenza nei pazienti più giovani, soprattutto per quel che riguarda l'abuso di cannabinoidi. Infatti, lo studio in questione si riferisce proprio ai giovani nei quali sappiamo che il suicidio rappresenta la seconda o terza causa di morte, a seconda delle statistiche prese in considerazione. Si tratta, pertanto, di una popolazione che può presentare un maggior rischio e per la quale un ravvicinato controllo (già nei giorni successivi alle dimissioni) è particolarmente importante per ridurre il pericolo di un suicidio nei mesi successivi».


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CREARE UN PONTE CON IL TERRITORIO

Conclude Dell'Osso: «Tale follow-up può variare da un centro ad un altro ma, generalmente, consiste nel collegare il paziente al proprio servizio territoriale di competenza, piuttosto che al servizio ambulatoriale o al day hospital del dipartimento di psichiatria presso cui è stato ricoverato. Talora, se si ritiene che vi sia un rischio suicidario elevato in seguito alle dimissioni, il paziente può essere inviato in una comunità o in una struttura di lungo-degenza per la riabilitazione, mentre nel caso in cui il paziente fosse già seguito privatamente, e non presenti un rischio specifico, si re-invia al proprio curante».


Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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