L'utilizzo dell'immunoterapia prima e dopo l'operazione chirurgica aumenta le probabilità di guarigione. I risultati presentati ad ESMO
Guarire da un tumore al seno triplo negativo quando questo viene diagnositcato in fase precoce è possibile. Di fondamentale importanza è però l’utilizzo dell’immunoterapia prima e dopo l’operazione di rimozione chirurgica. Nello studio KEYNOTE-522, presentato a Barcellona al congresso dell’European Society for Medical Oncology (ESMO), sono stati resi noti i risultati relativi alla sopravvivenza globale alla malattia: l’aggiunta dell’immunoterapia pre e post operatoria ha aumentato enormemente la quota di donne in vita a 5 anni dalla diagnosi. I dati staordinari, a dimostrazione del grande risultato raggiunto, sono stati pubblicati dalla rivista New England Journal of Medicne. Fondamentale però è revolgersi presso delle breast unit qualificate: ancora oggi molte donne in queste condizioni vengono operate senza procedere prima al trattamento chemio-immunoterapico.
IL TUMORE AL SENO TRIPLO NEGATIVO
«Il tumore al seno triplo negativo -spiega il professor Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e presidente eletto ESMO- è la neoplasia della mammella storicamente più difficile da trattare. Mentre le altre forme presentano dei recettori sulla superficie delle cellule tumorali che possono essere sfruttati per orientare le terapie, nel triplo negativo l’assenza di bersagli rende più difficile affrontare la malattia». Delle 55.900 diagnosi annue in Italia, circa il 15% appartiene alla categoria del triplo negativo.
RIDURRE IL RISCHIO DI RECIDIVA
Nelle forme metastatiche l’immunoterapia ha già portato a piccoli miglioramenti nel controllo della malattia. Ecco perché, come spesso accade, la comunità scientifica ha incominciato a studiarne l’utilizzo anche nelle forme precoci ad alto rischio. La necessità di individuare nuovi trattamenti per il tumore al seno triplo negativo allo stadio iniziale è infatti più che mai pressante. «Il triplo negativo -prosegue Curigliano- è la forma più aggressiva di malattia. Il rischio di ricaduta a distanza aumenta rapidamente a partire dalla diagnosi e raggiunge il picco nei primi 3 anni. In assenza di bersagli terapeutici, le opzioni di cura sono state storicamente limitate e costituite da chirurgia, radioterapia e chemioterapia».
LE CURE CON L’IMMUNOTERAPIA
Lo studio KEYNOTE-522 ha voluto testare l’utilizzo di chemio e immunoterapia con pembrolizumab in modalità neoadiuvante -ovvero prima dell’intervento chirurgico- e ancora l’immunoterapia dopo l’operazione, ovvero nella modalità adiuvante. Le donne trattate con questo approccio sono state confrontate con un gruppo curato con la modalità standard che prevedeva una chemioterapia neoadiuvante seguita da placebo dopo la chirurgia. Dalle analisi è emerso che nel gruppo trattato con immunoterapia si è ridotto il rischio di morte del 34% rispetto alla chemioterapia. Ma per comprendere meglio cosa ciò significhi c’è il dato relativo alla sopravvivenza globale alla malattia: a 5 anni dalla diagnosi è in vita l’86,6% delle donne trattate con immunoterapia rispetto all’81,7% di quelle trattate solo con chemioterapia. «Finora -spiega Curigliano- non si erano mai visti risultati di questa portata in una patologia così aggressiva. Solo 5 anni fa parlare di guarigione nel tumore al seno triplo negativo sembrava un’utopia. Questi dati ci dicono che invece è possibile».
L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI MOLECOLARE
Il trattamento in questione è già approvato e disponibile in molte nazioni, Italia compresa. Per riceverlo però è necessaria la caratterizzazione molecolare della malattia. «Oggi nel nostro Paese -sottolinea Curigliano- accade ancora che in seguito all’ago aspirato venga eseguita solo la caratterizzazione citologica della cellule prelevate. In caso di tumore la paziente viene inviata al chirurgo per l’operazione. Questo non deve succedere. E’ fondamentale che venga eseguita una biopsia del tessuto per andare a caratterizzare la malattia ed individuare o meno la presenza dei recettori. In caso di triplo negativo la paziente sarà candidabile ad effettuare il trattamento chemio-immunoterapico neoadiuvante. Non seguire questo iter è una malpractice a tutti gli effetti, ovvero un comportamento inappropriato da parte del professionista sanitario che può danneggiare la salute del malato». Ecco perché oggi più che mai è importante rivolgersi presso ospedali con una breast unit in grado di garantire un approccio multidisciplinare in cui patologo, chirurgo, oncologo e radioterapista possano confrontarsi su quale strategia di cura adottare in base alle caratteristiche del paziente.
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Daniele Banfi
Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.