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Oncologia
Caterina Fazion
pubblicato il 08-10-2022

Tumore della tiroide: in aumento tra i più piccoli



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I tumori della tiroide in età pediatrica sono in aumento in tutta Europa, specialmente in Italia. Quali sono le possibili cause? La colpa non può essere tutta di Chernobyl

Tumore della tiroide: in aumento tra i più piccoli

I tumori della tiroide in età pediatrica sono in costante aumento in tutta Europa. L’Italia, purtroppo, è al primo posto con l’incidenza più elevata tra i vari paesi. Quali possono essere le cause responsabili di questo andamento? Come agire nella pratica clinica per limitare esiti negativi e molto impattanti sulla vita dei più piccoli?

 

LA SITUAZIONE ATTUALE

L’andamento epidemiologico del tumore della tiroide in età pediatrica nei vari paesi europei è stato riportato in un recente studio pubblicato sulla rivista European Journal of Pediatrics, dove sono stati raccolti i dati degli ultimi trent'anni, monitorando la situazione fino al 2020. L’incidenza del tumore pediatrico alla tiroide nei paesi dell’est Europa, ovvero quelli maggiormente colpiti dall'incidente nucleare di Chernobyl, avvenuto nel 1986, è andata aumentando fino ai primi anni duemila; successivamente è seguita una diminuzione fino ad allinearsi alla media europea.

In generale, l’indagine ha rilevato un incremento progressivo del tumore alla tiroide negli ultimi anni in tutta Europa, soprattutto nei giovani, in particolare di sesso femminile tra i 14 e i 18 anni.

«Nel 2020, nella popolazione femminile – precisa Claudio Spinelli, professore ordinario di Chirurgia Pediatrica e Infantile all’Università di Pisa – l’incidenza più alta è stata registrata in Italia con 17,3 casi su 100.000 abitanti, seguita da Cipro con 14,1 e dalla Croazia con 8,4. A seguire ancora, Francia e Bielorussia con circa 7,5 casi su 100.000 abitanti. Nella popolazione maschile, invece, l’incidenza è nettamente inferiore: in Italia, ad esempio, si parla di 4,5 casi su 100.000, a Cipro di 6,1 casi e in Bielorussia di 3 casi. Questi dati trovano riscontro nella pratica clinica: negli anni ‘80-’90 i casi che operavamo per tumore alla tiroide nei bambini erano limitatissimi. A partire dagli anni successivi, invece, il numero dei bambini operati per tumori tiroidei è andato aumentando, questo fatto induce profonde riflessioni».

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IL LEGAME CON LA RADIOATTIVITÀ

Dopo l'incidente nucleare di Chernobyl, l'interesse scientifico e clinico per il tumore della tiroide, specialmente in età pediatrica, ha avuto un forte incremento.

La nube radioattiva sprigionatasi a seguito dell’esplosione, infatti, contenente radioisotopi dello iodio, ha raggiunto tramite i venti aree geografiche situate a grande distanza dalla sede del rilascio, raggiungendo anche l’Italia. Dopo l’inalazione o l’ingestione di alimenti e bevande contaminate, lo iodio radioattivo viene rapidamente assorbito attraverso i polmoni o il tubo digerente e incorporato nell’organismo. L’organo di accumulo e di deposito preferenziale è proprio la ghiandola tiroide in quanto, anche in condizioni fisiologiche, lo iodio trasportato con il sangue viene attivamente assorbito e concentrato, meccanismo che permette la produzione, proprio da parte della ghiandola tiroidea, degli ormoni triiodotironina (T3) e tiroxina (T4).

 

IL PICCO DI TUMORI ALLA TIROIDE

A seguito dell’assorbimento e dell’accumulo di isotopi radioattivi dello iodio, la tiroide può essere esposta a possibili effetti dannosi tra cui alterazioni strutturali e suscettibilità allo sviluppo di neoplasie.

«Negli anni Novanta, a Pisa – ricorda Claudio Spinelli – abbiamo operato numerosi bambini che provenivano dalla Bielorussia e dall'Ucraina, colpiti da tumore alla tiroide. In tale occasione abbiamo potuto appurare, tramite l’esame istologico dei pezzi operatori, la particolare aggressività dei tumori indotti da radiazioni ionizzanti; questi bambini presentavano, nella maggior parte dei casi, la malattia a entrambi i lobi della tiroide e metastasi ai linfonodi del collo.

L'incidente nucleare di Chernobyl è il più grave disastro nucleare della storia, insieme a quello di Fukushima del 2011, che, fortunatamente, ha avuto esiti molto meno disastrosi per l’assenza dei venti. La nube radioattiva, infatti, si è limitata alla zona interessata senza estendersi eccessivamente come era invece successo per Chernobyl. Negli anni successivi all’incidente nucleare, l’incremento del tumore della tiroide, specialmente nei giovani nell'area della Bielorussia e dell’Ucraina, è stato di circa 10 volte».

 

TUTTA COLPA DI CHERNOBYL?

In tutto il mondo stiamo assistendo a un aumento dell'incidenza del tumore alla tiroide, anche nelle zone che, sicuramente, non sono state interessate dalle radiazioni ionizzanti. È chiaro, dunque, che non può essere tutta colpa di Chernobyl.

«Che le radiazioni ionizzanti inducano il tumore alla tiroide specialmente nei giovani – conferma il professor Spinelli – è ormai certo, come dimostrano i dati di Chernobyl e Fukushima, ma non è l’unica causa che può spiegare l’aumento dei casi di tumore tra i più giovani. Un'altra causa è l’inquinamento ambientale e in particolare gli interferenti endocrini. Si tratta di sostanze presenti nell'ambiente che agiscono come gli ormoni fisiologici del nostro corpo, simulandone l’azione e interferendo con essi. Queste sostanze, che si trovano soprattutto nell'ambito dell'agricoltura, come i pesticidi, in quello industriale, farmaceutico e cosmetico, contengono componenti che agiscono mimando l’azione degli ormoni tiroidei, legandosi alla tiroide. Non riconoscendo queste sostanze, le cellule tiroidee subiscono modificazioni tali da poter evolvere verso una forma neoplastica. Queste molecole possono trovarsi nell'aria, nell'acqua, negli alimenti e possono essere inalate, ingerite, oltre a venire in contatto con la nostra pelle».

 

LE SOSTANZE CHE MIMANO GLI ESTROGENI

«Da tenere sott'occhio è anche il ruolo di alcuni interferenti endocrini con effetto simil-estrogenico - prosegue Spinelli -, come le diossine, che derivano da processi di combustione indesiderati o come gli ftalati, sostanze utilizzate per la produzione della plastica o dei prodotti cosmetici. Mimando l’azione degli estrogeni fisiologici, tramite un complesso meccanismo, si attaccano ai recettori alfa e beta presenti all’interno delle cellule tiroidee, inducendo una possibile trasformazione neoplastica. Questi interferenti endocrini alterano non solo la tiroide, ma anche la pelle, il sistema immunitario, il fegato, la mammella e il sistema nervoso, con conseguente aumento dei tumori tiroidei, dei melanomi, delle malattie linfoproliferative e neurologiche. Negli ultimi anni si sta osservando anche un aumento dell'infertilità, soprattutto maschile, e una maggiore incidenza di ginecomastia, ovvero anomalo sviluppo delle dimensioni delle mammelle nell'uomo, e di malformazioni genitali. Tutte manifestazioni cliniche che rientrano nelle disfunzioni endocrine».

 

L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

Conoscere questi dati permette ai pediatri, ai medici di medicina generale e ai chirurghi pediatri di prendere coscienza di questo trend in costante aumento, così da poter fare un’adeguata prevenzione clinica.

«Andrebbero effettuate visite accurate della regione cervicale, specialmente  nei ragazzi tra i 14 e i 18 anni con familiarità per malattie tiroidee o carcinomi» riflette il professor Claudio Spinelli. «Sottoporre questi ragazzi a indagini non solo cliniche, ma anche ecografiche, permetterebbe di fare diagnosi precoce di tumore della tiroide. Solo in questo modo, sia che si tratti di un bambino, sia di un adulto, riusciremo a fare interventi chirurgici più conservativi, con l’asportazione di un solo lobo tiroideo, evitando una tiroidectomia totale, ovvero rimozione completa della ghiandola tiroidea. In tal modo potremmo ridurre il rischio di eventuali sequele chirurgiche come la lesione del nervo ricorrente, con successive alterazioni, qualitative o quantitative, a carico della voce, o l’alterazione della funzione delle paratiroidi,  con livelli eccessivamente bassi di ormone paratiroideo, condizione che porta anche ad avere bassi livelli di calcio e aumento del livello di fosforo nel sangue. I tumori della tiroide in età pediatrica sono, comunque, forme “indolenti”, con una prognosi eccellente, specialmente se diagnosticati in fase precoce».

 

LA SOVRA-DIAGNOSI È UN PROBLEMA?

La frequenza del tumore alla tiroide è aumentata in tutto il mondo, ma quanto incide la sovra-diagnosi dovuta al diffondersi delle indagini di screening tiroidei?

Per sovra-diagnosi si intende la diagnosi inaspettata di una patologia, in questo caso un tumore della tiroide che, anche se non fosse stato scoperto non avrebbe causato, probabilmente, effetti negativi sulla salute dell’individuo nel corso della vita. Effettuare trattamenti non necessari porta con sé conseguenze fisiche e psicologiche per il paziente, ed economiche per il Sistema Sanitario Nazionale. Resta da capire, però, se il problema di sovra-diagnosi esiste anche nella popolazione pediatrica.

«Il problema della sovra-diagnosi è sicuramente rilevante nella popolazione adulta, ma molto meno in quella pediatrica», commenta Claudio Spinelli. «Sono soprattutto adulti i soggetti che si sottopongono, anche senza avere sintomi, a valutazione ecografica della regione del collo, spesso in associazione a ecografia in altre aree del corpo. Questa circostanza può favorire la scoperta, in modo incidentale, di piccoli noduli tiroidei, di dimensioni inferiori a un centimetro, che possono essere anche dei microcarcinomi. Nei bambini, in Italia, lo screening della tiroide non viene effettuato, a meno che non ci siano casi di familiarità di primo grado, ovvero se uno o entrambi i genitori hanno avuto una patologia tiroidea, in particolare tumorale. Condizione, quest’ultima, che impone un controllo più stretto a causa del rischio aumentato nei figli di sviluppare un tumore. I bambini che operiamo per carcinoma della tiroide solitamente presentano noduli superiori a un cm, della cui presenza si sono accorti loro stessi o i genitori, notando rigonfiamenti del collo o linfonodi ingrossati nella regione cervicale. Il trend in aumento in età pediatrica, dunque, non sembra essere legato ad una sovra-diagnosi, ma ad altre cause già citate».

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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