Nuovo passo avanti nella cura della fibrillazione atriale. Dopo i farmaci e le prime terapie endovascolari, anche in Italia è stato approvato l'utilizzo di una nuova tecnologia (Pulsed Field Ablation, PFA) capace di eliminare in modo selettivo le zone responsabili dell’aritmia. Un traguardo importante destinato a migliorare ulteriormente la gestione di una patologia che affligge circa un milione di italiani.
CHE COS’È LA FIBRILLAZIONE ATRIALE?
La fibrillazione atriale è la più frequente delle aritmie cardiache. La sua diffusione cresce con l’età, ma non riguarda solo gli anziani. Spesso è asintomatica, rendendo difficile intercettarla precocemente. In questa condizione il cuore, battendo in maniera irregolare, non riesce a pompare adeguatamente il sangue, che tende a ristagnare negli atri formando coaguli. Se questi raggiungono il cervello possono causare un ictus ischemico. Per questo il paziente con fibrillazione atriale presenta un rischio di ictus aumentato di cinque volte, un rischio di scompenso cardiaco triplicato e una mortalità raddoppiata rispetto alla popolazione generale.
COME SI CURA
La cura della fibrillazione atriale si basa oggi su strategie complementari. Da un lato l’approccio farmacologico, che mira a controllare ritmo e frequenza cardiaca e a prevenire la formazione di trombi; dall’altro l’aritmologia interventistica, che negli ultimi anni ha ampliato in modo significativo le opzioni disponibili, offrendo trattamenti più duraturi rispetto alla sola terapia medica.
Tra questi, uno dei più utilizzati è l’ablazione transcatetere.
IL RUOLO DELL’ABLAZIONE TERMICA
L’obiettivo dell’ablazione è isolare elettricamente le vene polmonari, aree da cui spesso origina l’attività elettrica anomala. La procedura è mininvasiva e viene eseguita introducendo un catetere attraverso i vasi femorali fino al cuore, dove vengono analizzati i segnali elettrici e interrotto il circuito responsabile dell’aritmia. L’ablazione tradizionale utilizza radiofrequenza o crioenergia per creare lesioni che bloccano la conduzione elettrica anomala.
L’impiego di energia termica, pur efficace, richiede un’elevata precisione tecnica e può essere associato a una certa variabilità dei tempi procedurali, oltre alla necessità di prestare particolare attenzione alle strutture cardiache adiacenti. Per questo la ricerca si sta orientando verso approcci capaci di migliorare la selettività dell’azione ablativa e il profilo di sicurezza, senza modificare l’impianto di una procedura ormai ben consolidata nella pratica clinica.
UNA NUOVA OPZIONE TECNOLOGICA
In questo contesto si colloca la Pulsed Field Ablation (PFA), recentemente approvata anche in Italia. La tecnologia utilizza campi elettrici pulsati ad alta intensità che provocano un’alterazione selettiva delle cellule responsabili dell’aritmia, i cardiomiociti, risparmiando in larga parte i tessuti circostanti. Nel caso del sistema Volt™ PFA l’ablazione viene effettuata attraverso un catetere a palloncino che, una volta posizionato nell’atrio sinistro, si adatta all’anatomia del paziente. Il palloncino consente di mappare l’attività elettrica, definire l’area da trattare e applicare l’energia in modo mirato, con l’obiettivo di rendere la procedura più standardizzabile e riproducibile.
Come sottolinea Claudio Tondo, direttore dell’Aritmologia del Centro Cardiologico Monzino IRCCS, «siamo in una fase di evoluzione delle tecniche di ablazione, con l’obiettivo di rendere le procedure sempre più precise e riproducibili. Tecnologie di questo tipo si inseriscono in un percorso di miglioramento continuo della pratica clinica, senza sostituire il ruolo dell’esperienza dell’operatore».
PROSPETTIVE FUTURE
La fibrillazione atriale è destinata a rimanere una delle principali sfide della cardiologia, anche in relazione all’invecchiamento della popolazione e alla sua frequente presentazione silente. «È ormai un problema di salute pubblica -osserva Gaetano Senatore, direttore della Cardiologia dell’Ospedale di Ciriè-. La disponibilità di nuove tecnologie non significa superare quelle esistenti, ma ampliare il ventaglio di opzioni per adattare il trattamento al singolo paziente».
La direzione è quella di una medicina sempre più personalizzata, in cui la tecnologia rappresenta uno strumento e non il fine. La sfida sarà ora integrarla nei percorsi di cura, definendo criteri di selezione, accesso e impatto reale nella pratica clinica quotidiana.


