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Neuroscienze

Depressione post partum: come individuarla precocemente?

Secondo un nuovo studio, la depressione post partum potrebbe essere riconosciuta grazie a biomarcatori specifici, permettendo un intervento tempestivo

Ancora oggi la depressione viene spesso percepita non tanto come una vera e propria malattia, quanto come una mancanza di volontà o di capacità da parte della persona di reagire e “tirarsi su”. Lo stigma è ancora più marcato nei casi di depressione perinatale e post partum: colpisce vedere una madre che non riesce a essere felice con il proprio bambino tra le braccia. Una recente review (un articolo che raccoglie e analizza i risultati di diversi studi), pubblicata sulla rivista Trends in Neurosciences, ricorda che la depressione post partum è una malattia a tutti gli effetti, causata da una complessa interazione di fattori biologici e ambientali che determinano cambiamenti nell’attività del cervello e nell’espressione dei geni. La condizione ha basi neurobiologiche ben precise, tanto che alcuni ricercatori stanno studiando dei biomarcatori per individuarla precocemente e intervenire in tempo.

IL 16% SOFFRE DI DEPRESSIONE POST-PARTUM

«Stimiamo che circa il 5-6% della popolazione generale soffra di depressione. Durante il primo trimestre di gravidanza, la percentuale di donne colpite è di circa il 7,5%, sale al 12,8% nel secondo trimestre e scende leggermente, al 12%, nel terzo. Nei primi mesi dopo il parto, la percentuale di donne affette da depressione arriva al 16%», spiega Claudio Mencacci, Presidente del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Onda – Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere ETS – e co-presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (SINPF). «Si tratta di una patologia complessa, che può avere conseguenze significative non solo sulla madre, ma anche sul bambino e sull’intero nucleo familiare». 

SOSTENERE LO SGUARDO DEL NEONATO

Nelle donne con depressione post partum si osservano modifiche sia nella struttura sia nel funzionamento del cervello, in particolare in aree coinvolte nella regolazione delle emozioni, come l’ippocampo e la corteccia prefrontale dorsomediale. «Queste regioni svolgono un ruolo importante nell’interazione madre-bambino: ad esempio, alcune madri con depressione faticano a sostenere lo sguardo del neonato, un comportamento associato a una ridotta attivazione delle aree cerebrali legate alla ricompensa affettiva», spiega Mencacci.

LE ALTERAZIONI ORMONALI

Alcuni studi hanno inoltre individuato alterazioni nell’espressione genica del recettore dell’ossitocina in donne che sviluppano depressione post partum, pur essendo in buona salute durante la gravidanza. Poiché l’ossitocina è un ormone fondamentale per il legame madre-bambino, questi cambiamenti potrebbero interferire con l’attaccamento e l’equilibrio emotivo della madre.

Tali modificazioni epigenetiche potrebbero diventare veri e propri indicatori biologici, utili per identificare precocemente le donne a rischio. Secondo i dati dello studio, un test basato su questi marcatori potrebbe riconoscere fino all’80% dei casi destinati a manifestarsi entro sei mesi dal parto.

IL RUOLO DELLO STRESS

Durante la gravidanza, il corpo attraversa profondi cambiamenti, in particolare nel sistema che regola la risposta allo stress. La produzione di cortisolo (conosciuto come ormone dello stress) aumenta progressivamente fino a raggiungere un picco al momento del parto, per poi crollare subito dopo la nascita. In alcune donne queste oscillazioni possono contribuire allo sviluppo della depressione.

«Fattori esterni come lo stress psicologico, la mancanza di supporto sociale o le difficoltà economiche possono aggravare la situazione, alterando ulteriormente la risposta allo stress», aggiunge l’esperto.

LE NUOVE LINEE GUIDA

Parliamo quindi di una patologia di natura multifattoriale, che deve essere affrontata con lo stesso rigore riservato a qualsiasi altra malattia: identificando i fattori di rischio, puntando su una diagnosi precoce e proponendo trattamenti efficaci e sicuri.

In questo processo, ostetriche, ginecologhe e, più in generale, tutto il personale sanitario coinvolto nella presa in carico delle donne in gravidanza, svolgono un ruolo fondamentale. «Non ci occupiamo soltanto della salute fisica della donna e del bambino, ma anche del benessere mentale ed emotivo delle madri», sottolinea Claudia Ciardo, dirigente medico presso l'Ospedale Buzzi, convenzionato con l’Università di Milano. A fine giugno 2025 è stato pubblicato l’aggiornamento delle Linee Guida sulla gravidanza fisiologica, che si concentra in particolare sullo screening della depressione e dell’ansia durante la gravidanza e nel periodo post partum. Il documento pone l’accento sull’importanza di individuare precocemente eventuali segnali di disagio psicologico. In particolare, invita a porre a tutte le donne in gravidanza due semplici domande:

Nell’ultimo mese, ha provato spesso poco interesse o piacere nel fare le cose?

Si è sentita spesso giù di morale, depressa o senza speranza?

    In caso di risposta positiva a una o entrambe le domande, è necessario procedere con una valutazione più approfondita, per stabilire l’eventuale presenza del disturbo e la sua gravità.

    IDENTIFICARE I FATTORI DI RISCHIO

    In generale, per individuare circa il 50% dei casi di depressione perinatale, secondo Mencacci, è sufficiente porre alcune semplici domande sulla storia personale e familiare della donna, proprio come si fa nella prevenzione delle malattie cardiovascolari o oncologiche.

    «Bisogna chiedere a tutte le donne se, nel corso della loro vita, hanno mai sofferto di ansia o depressione, e se nella loro famiglia esiste una storia di disturbi psicologici o psichiatrici». 

    Una storia di disturbo disforico premestruale - caratterizzato da sintomi come depressione marcata, irritabilità, ansia e sbalzi d’umore nei giorni che precedono il ciclo mestruale - può rappresentare un campanello d’allarme. Lo stesso vale per un intervallo molto breve tra una gravidanza e l’altra. 

    «Altri fattori di rischio includono: precedente depressione post parto, complicanze in gravidanza e al parto, difficoltà relazionali con il partner, condizioni lavorative precarie, storia di dipendenze o violenze», aggiunge Ciardo. «È evidente che, per porre tutte queste domande in modo efficace, è necessario costruire un rapporto empatico, capace di accogliere la fragilità. La donna deve potersi sentire al sicuro nel condividere con noi la propria storia».

    L’attenzione al rischio di depressione deve restare alta anche dopo il parto, una fase in cui possono insorgere ulteriori criticità, come problemi di salute del neonato.

    FORMAZIONE E INFORMAZIONE

    È fondamentale che ostetriche e ginecologhe siano adeguatamente formate per riconoscere i segnali della depressione, sia durante la gravidanza che nel periodo post partum. Tuttavia, la formazione da sola non basta. In alcuni contesti ospedalieri, come l’Ospedale Buzzi, ginecologhe, ostetriche e psicologhe lavorano in stretta collaborazione per preparare le coppie al parto e affrontare insieme le difficoltà pratiche ed emotive che possono emergere.

    «Questi temi non devono essere un tabù. Per questo motivo li affrontiamo apertamente durante i corsi preparto», spiega Claudia Ciardo. «Durante tutto il percorso manteniamo un dialogo costante con il servizio di psicologia clinica perinatale che resta a disposizione delle mamme fino a quasi un anno dopo il parto. Alle donne residenti a Milano viene inoltre offerta la possibilità di una visita a domicilio (progetto home visiting).»

    UNA PRESA IN CARICO DISIMOGENEA

    Purtroppo, non tutti i centri ospedalieri dispongono di un servizio psicologico dedicato. «Da un censimento condotto dalla Fondazione Onda emerge una maggiore concentrazione di ambulatori dedicati alle donne in gravidanza e nel post partum nei capoluoghi, mentre spesso si registra una loro assenza nelle aree di provincia», spiega Mencacci.

    Anche sul piano geografico, le disomogeneità sono evidenti. «Le differenze sul piano organizzativo restano significative all’interno del terrotorio italiano», osserva Ciardo. «Sono però attivi numerosi progetti che mirano a migliorare la presa in carico psicologica, anche perché il suicidio rappresenta una delle principali cause di morte indiretta tra le donne nel periodo post partum, soprattutto nei Paesi ad alto reddito. È stato osservato che in quasi tutti i casi di suicidio le donne avevano manifestato segnali di allarme. Per questo è fondamentale saperli riconoscere e non ignorarli».

    LA DEPRESSIONE POST-PARTUM SI CURA

    «Una volta individuata, bisogna ricordare a tutte le mamme che la depressione perinatale è una condizione curabile», sottolinea Mencacci. Oltre agli strumenti classici di psicoterapia, come la terapia cognitivo-comportamentale, sono disponibili anche alcuni farmaci che si sono dimostrati sicuri durante la gravidanza e l’allattamento.

    «Tra questi ci sono diversi farmaci appartenenti alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI); la duloxetina, un inibitore della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI); e la vortioxetina, che fa parte di una classe più recente, quella dei modulatori e stimolatori della serotonina», precisa l’esperto.

    Anche la stimolazione magnetica transcranica potrebbe rappresentare una valida opzione terapeutica, poiché consente di evitare l’assunzione di farmaci durante gravidanza e allattamento. Questa tecnica, già approvata per il trattamento della depressione maggiore resistente in diversi Paesi, Italia inclusa, è attualmente oggetto di studio anche per la depressione post partum, con risultati promettenti.

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