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Neuroscienze

Paracetamolo, autismo e vaccini: facciamo chiarezza

Su cause e cure del disturbo le tesi di Trump non trovano riscontro nelle evidenze scientifiche

Negli ultimi giorni hanno suscitato scalpore alcune dichiarazioni sull'autismo da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, intervenuto alla Casa Bianca ad un incontro dedicato a questo disturbo del neurosviluppo. In particolare Trump ha collegato l’utilizzo del paracetamolo in gravidanza a un presunto aumento del rischio di sviluppare disturbi dello spettro autistico. Non solo, il presidente ha inoltre suggerito l’impiego di acido folinico -un farmaco utilizzato in oncologia- come possibile cura per i bambini autistici. Infine, in un'ottica di maggiore sicurezza, si è espresso per la revisione del calendario vaccinale sostenendo di diluire nel tempo le somministrazioni. Affermazioni prive di fondamento scientifico che hanno subito destato la preoccupazione di molte società scientifiche. Emblematiche le parole di Elisa Fazzi, presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza:


Tali dichiarazioni, ampiamente riprese dai media, risultano prive di reale fondamento scientifico, creano disinformazione e contribuiscono ad alimentare insicurezze e confusione su quello che è un problema rilevante per milioni di bambini, adolescenti e famiglie coinvolte nei disturbi del neurosviluppo in tutto il mondo

COS’È L’AUTISMO

L’autismo, o disturbo dello spettro autistico, è una condizione che riguarda il modo in cui una persona comunica, interagisce e percepisce il mondo che la circonda. Si parla di “spettro” perché i sintomi e le difficoltà possono essere molto diversi da individuo a individuo: alcune persone hanno bisogni di supporto più marcati, altre conducono una vita indipendente pur con alcune peculiarità. Le cause non sono ancora del tutto comprese, ma la ricerca ha dimostrato che si tratta di un insieme complesso di fattori, in cui entrano in gioco la genetica e l’ambiente.

IL RUOLO DEL PARACETAMOLO

L’ipotesi di un legame tra uso di paracetamolo in gravidanza e sviluppo dell’autismo è oggetto di studio da molti anni. Ed è proprio a questi studi che fa riferimento Donald Trump. Alcune ricerche si sono basate sul ricordo delle madri, altre sulla misurazione di metaboliti del paracetamolo nel sangue del cordone ombelicale. Studi metodologicamente deboli, con ampi margini di errore e interpretazioni forzate. Detto ciò, i rischi osservati sono risultati modesti -dal 5% in uno studio singolo al 20% in una meta-analisi- percentuali troppo basse e inaffidabili per spiegare l’aumento delle diagnosi, legato soprattutto a criteri diagnostici più ampi.

Il paracetamolo infatti potrebbe essere usato più spesso da chi soffre di condizioni -come infezioni o emicranie- che di per sé aumentano il rischio di disturbi del neurosviluppo. Oppure il legame apparente può dipendere dalla genetica: chi ha una predisposizione ad autismo o ADHD tende a sperimentare più dolori in gravidanza e quindi a ricorrere con maggiore frequenza agli analgesici. A supporto di questa interpretazione ci sono studi molto più robusti. Uno, pubblicato su JAMA nel 2023, ha analizzato i dati di 2,5 milioni di bambini nati in Svezia tra il 1995 e il 2019, senza trovare prove convincenti di un legame diretto tra paracetamolo in gravidanza e autismo.

A tal proposito l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) informa che, alla luce delle più recenti valutazioni scientifiche effettuate a livello europeo, non emergono nuove evidenze che richiedano modifiche alle raccomandazioni in vigore sull’uso del paracetamolo in gravidanza. Le indicazioni sono chiare: è possibile utilizzarlo alla dose efficace più bassa, per il periodo di tempo più breve possibile e con la frequenza minima compatibile con il trattamento.

LA CURA A BASE DI ACIDO FOLINICO

Identico discorso per quanto riguarda il ruolo dell'acido folinico come cura per alcune manifestazioni dell'autismo. Le prove a supporto sono ancora più fragili. Alcuni piccoli studi hanno ipotizzato un beneficio sulle abilità verbali, ma i dati non reggono. In uno studio pubblicato sull’European Journal of Pediatrics, 80 bambini tra i 2 e i 10 anni sono stati divisi tra trattamento e placebo. Dopo 24 settimane, il gruppo trattato mostrava un miglioramento medio di appena 1,2 punti su una scala di 60: un segnale statisticamente significativo, ma clinicamente irrilevante e facilmente esposto a falsi positivi. Prima di parlare di terapia servono studi molto più ampi, con numeri adeguati e risultati consistenti.

DILUIRE LE VACCINAZIONI

Il capitolo più delicato riguarda però le vaccinazioni. Trump ha proposto di diluire le somministrazioni nell’arco di anni, separare il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia in tre dosi distinte e rimandare quello contro l’epatite B fino ai 12 anni. Ha inoltre chiesto di eliminare mercurio e alluminio dalle formulazioni. In realtà il timerosal, conservante a base di mercurio, è stato tolto da anni. L’alluminio, presente in dosi minime, è stato più volte dimostrato sicuro. Misure del genere, secondo le principali società scientifiche che si occupano di prevenzione, lascerebbero i bambini vulnerabili per anni a malattie prevenibili e andrebbero contro decenni di raccomandazioni basate su solide prove scientifiche. I calendari vaccinali infatti sono studiati per garantire la massima protezione: ritardare o frammentare le dosi non offre alcuna garanzia in più: riduce l’efficacia e aumenta i rischi

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