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Neuroscienze

Quando la solitudine diventa malattia

Secondo una revisione globale, non esiste una soluzione unica: socialità e supporto psicologico restano gli strumenti più efficaci

La solitudine è associata a un aumento del rischio di depressione, ansia e malattie cardiovascolari. Una revisione di 280 studi pubblicata su American Psychologist mostra che alcuni interventi possono attenuarla, sebbene con effetti globalmente modesti. Come intervenire?

UNA REVISIONE DI 280 STUDI

Le vie sembrano essere due: o promuovere eventi sociali che metta le persone a contatto e coinvolte in un progetto oppure la psicoterapia individuale. I ricercatori, (dell’Università della Danimarca del Sud) hanno compiuto la metanalisi di 280 studi sull’argomento concernenti diverse aree del mondo. Gli interventi considerati erano i più vari di impostazione e riguardavano al 45 per cento il Nordamerica, un 22 per cento l’Europa, un 14 per cento il Medio Oriente e un 13 per cento l’Asia.

Il responsabile della ricerca, professor Mathias Lasgaard, ha detto: «I nostri risultati forniscono una forte evidenza che gli interventi possono fare la differenza, benché il loro impatto complessivo resti modesto. La solitudine non ha un’unica soluzione adatta a tutto e a tutti».

L’INSUCCESSO DELLE PROPOSTE DIGITALI

Vari governi, riconoscono gli studiosi, cercano di affrontare il senso di spaesamento di così tanti cittadini con iniziative locali o piani di azione nazionali. Una prima constatazione è che i programmi soltanto digitali sono nettamente meno efficaci di quelli impostati sul contatto diretto tra persone. Come conclusione finale sui sistemi di intervento, i ricercatori danesi indicano nella psicoterapia cognitivo-comportamentale il metodo con maggiori effetti positivi. I benefici tra bambini e adolescenti, tra adulti e anziani, duravano fino a sei mesi.

IL PREGIUDIZIO DI NON ESSERE VOLUTO

«Molti interventi psicologici coinvolgono la tua visione verso gli altri – come una persona considera sé stessa, gli altri e le situazioni sociali. Ebbene, la psicoterapia cognitivo-comportamentale osserva questi punti – dichiara il professor Lasgaard. – Per esempio, un individuo che soffre di solitudine potrebbe ritenere che gli altri lo respingerebbero se si facesse avanti oppure interpretare dei fatti, degli indizi sociali come negativi. Allora l’azione dello psicoterapeuta potrebbe aiutare questo soggetto a rendersi conto dei suoi pensieri automatici, analizzarli insieme e sostituirli con interpretazioni più equilibrate. Nel tempo questo potrebbe ridurre l’evitamento sociale, rendere più facile costruire e mantenere rapporti con gli altri».

La conclusione dei ricercatori è ottimistica: «Pur con tutte le carenze metodologiche incontrate, i risultati di centinaia di studi convergono verso l’indicazione che la solitudine può essere ridotta per mezzo di interventi mirati».

EH SÌ, “CI VORREBBE UN AMICO…”

Il professor Alfio Maggiolini, psicoterapeuta e docente di Psicologia del ciclo di vita all’Università Bicocca di Milano nota che oggi c’è una fortissima richiesta di aiuto psicologico, provenienti da tutte le età: «Sono molto aumentate dopo il Covid, come se quell’evento avesse contribuito ad accrescere un disagio soprattutto tra i giovani». In parte, continua Maggiolini, la ricerca di uno psicoterapeuta può nascere da una maggiore consapevolezza delle proprie difficoltà e del sostegno che si può ottenere. «Probabilmente una parte delle richieste non sono stimolate da depressione, ansia, o altri disturbi psicologici, ma sono indicative di una necessità di contatto umano. E’ questo il fattore trasversale della solitudine diffusa».

Mancano le funzioni sociali di contenimento, nella famiglia e fuori. In molti casi la solitudine trattiene dall’avere interlocutori non professionali per il proprio bisogno di ascolto. Come dice la canzone “Ci vorrebbe un amico…”.

Continua il professor Maggiolini: «Forse in un’epoca passata, decenni fa, c’era un contesto religioso in cui c’era possibilità di ascolto per le difficoltà, e non dico solo la confessione, ma l’insieme dell’ambiente. Oggi siamo più individualisti e c’è più solitudine. Purtroppo, è la spia di un andamento sociale più ampio».

DA ARISTOTELE A PIAGET: SIAMO ESSERI SOCIALI

«Come diceva già Aristotele, fino ad arrivare alla psicologia costruttivista (pensiamo a psicologi come Vygotskij e Piaget), "la mente è filogeneticamente e ontologicamente gruppale" o, per dirla in modo più semplice, siamo esseri sociali», esordisce il dottor Paolo Guiddi, psiconcologo che lavora presso la Divisione di Psiconcologia diretta dalla professoressa Gabriella Pravettoni all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Che continua: «Nonostante la globalizzazione e il continuo "essere in connessione con", ci sentiamo sempre più soli. Legami sfarinati, o liquidi, come diceva Bauman».

Addirittura, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) mette in guardia a livello globale: 1 persona su 6 a livello mondiale soffrirebbe di solitudine. E invita a muoversi su vari piani di politica, ricerca e di impegno pubblico.

PIÙ 32 PER CENTO DI ICTUS

«Gli interventi psicologici, soprattutto quelli basati sulla terapia cognitivo-comportamentale, come riportato nella ricerca, non hanno solo un effetto sul benessere e sul supporto sociale percepito, ma possono rappresentare un elemento integrativo della cura cardiologica. La solitudine ha un impatto anche sulla popolazione sana a livello cardiovascolare: i dati di Valtorta e altri (2016) mettono in evidenza come le relazioni sociali povere aumentino del 29 per cento il rischio di sviluppare una cardiopatia ischemica e del 32 per cento quello di ictus. Inoltre, agisce come un attivatore cronico dello stress, deregolando l'azione dell’asse ipotalamo–ipofisi–surrene, il tono simpatico e la risposta infiammatoria. Clinicamente, questo si traduce in una peggiore regolazione immunitaria, ridotta variabilità della frequenza cardiaca e minor resilienza agli stress fisici e psicologici andando ad incrementare i fattori di rischio cardiovascolare».

Il dottor Guiddi conclude: «Contrastare la solitudine diventa così, nel concreto dell’esperienza clinica, un atto di prevenzione secondaria e di promozione della salute cardiovascolare, pienamente coerente con il paradigma della cura integrata».

fonti

Are Loneliness Interventions Effective for Reducing Loneliness? A Meta-Analytic Review of 280 Studies

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