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Neuroscienze

Sperimentazione animale: a che punto siamo davvero?

Le alternative esistono, ma sono pronte a sostituire del tutto i test sugli animali? Il punto tra scienza, etica e comunicazione

Oggi nella ricerca scientifica in campo medico convivono diversi modelli di studio che permettono di condurre una sperimentazione. Esistono i modelli basati su simulazioni al computer e intelligenza artificiale (in silico); i modelli in vitro, che includono colture cellulari e organoidi; e i modelli in vivo, che prevedono l’utilizzo di animali per osservare l’effetto delle sostanze in un organismo completo.
In Italia per alcuni ambiti di studio – come gli xenotrapianti (cioè i trapianti tra specie diverse, ad esempio da animale a uomo) e le sostanze d’abuso – la sperimentazione animale è formalmente vietata, ma continua ad essere effettuata grazie a proroghe temporanee. Il tema è stato al centro del webinar “Sperimentazione medica: gli animali possono essere sostituiti?”, coordinato da Barbara Gallavotti (Fatti per Capire) e Luca Carra (Scienza in Rete), durante il quale numerosi esperti hanno sottolineato la necessità di maggiori investimenti, formazione specifica e trasparenza nei confronti del pubblico. L’obiettivo comune resta quello di ridurre progressivamente l’uso degli animali e, dove possibile, sostituirlo con metodi alternativi più etici e affidabili.

A CHE COSA SERVE LA SPERIMENTAZIONE ANIMALE?

Negli istituti di ricerca e nei laboratori universitari, gli animali vengono utilizzati per rispondere a domande complesse sulla salute, quando non è ancora possibile farlo in altro modo. Servono, ad esempio, per capire come un farmaco viene assorbito, metabolizzato e smaltito dal corpo, oppure per verificare la tossicità di una sostanza prima di sperimentarla sull’uomo. Senza la sperimentazione animale, non avremmo potuto sviluppare vaccini fondamentali, come quelli contro la poliomielite o il Covid-19. Né farmaci salvavita contro patologie oncologiche, neurologiche o cardiovascolari.

Numerose scoperte mediche sono state possibili grazie alla sperimentazione animale. Ad esempio, l'insulina è stata scoperta negli anni '20 attraverso studi su cani, rivoluzionando il trattamento del diabete. I vaccini contro malattie come il vaiolo, la rabbia e la poliomielite sono stati sviluppati grazie a ricerche condotte su bovini, conigli e scimmie. Inoltre, la sperimentazione su modelli animali ha permesso di sviluppare farmaci contro l’ipertensione, la depressione e le psicosi, oltre a rendere possibili tecniche chirurgiche avanzate come i trapianti di cuore e di rene. Ancora oggi, resta fondamentale per verificare la sicurezza e l’efficacia di nuove terapie prima che vengano somministrate all’uomo.

Come ha ricordato Giuliano Grignaschi, esperto di benessere animale dell’Università Statale di Milano e portavoce della piattaforma Research4Life: «La sperimentazione animale non riguarda solo i farmaci: serve anche per la sicurezza alimentare, la ricerca di base, la tossicologia ambientale. È ancora oggi una componente indispensabile per garantire che ciò che arriva all’essere umano sia il più possibile sicuro ed efficace».

PERCHÉ NE PARLIAMO ADESSO?

Il tema della sperimentazione animale è sempre sensibile, ma oggi è tornato al centro del dibattito per due motivi. Il primo riguarda gli Stati Uniti: lo scorso 10 aprile, l’agenzia del farmaco FDA ha annunciato di voler rinunciare, entro pochi anni, ai modelli animali nella sperimentazione di alcuni farmaci, a partire dagli anticorpi monoclonali. Il secondo è italiano: nel nostro Paese è in vigore dal 2014 un divieto sull’uso di animali per due ambiti specifici – gli xenotrapianti e lo studio delle sostanze d’abuso – ma tale divieto è sempre stato posticipato grazie a moratorie periodiche.

Il divieto, non derivante da motivazioni scientifiche ma da scelte ideologiche, rientra in un recepimento più restrittivo, da parte della normativa italiana, della direttiva europea 2010/63/UE sulla sperimentazione animale. L'Italia, cioè, ha recepito la direttiva, ma ha introdotto restrizioni e limiti che la oltrepassano, e che sono ritenute eccessive. Proprio per questo nel 2016 l’Unione Europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti del nostro paese. Le moratorie non annullano l’infrazione, ma permettono ai ricercatori italiani di continuare a svolgere ricerche importanti che altrove sono considerate legittime. Tuttavia, queste proroghe a breve termine impediscono una vera programmazione scientifica, rendendo difficile partecipare a progetti internazionali o pianificare studi a lungo termine.

QUALI ALTERNATIVE CI SONO AI TEST SUGLI ANIMALI?

Negli ultimi anni la ricerca ha sviluppato una serie di strumenti innovativi che possono in parte sostituire l’uso degli animali. Tra questi ci sono:

  • gli organoidi, piccole strutture tridimensionali coltivate in laboratorio da cellule staminali umane o animali, in grado di riprodurre alcune funzioni di organi come il fegato o l’intestino. Come ha spiegato Laura Capolupo, post-doc all’ETH di Zurigo, nel team della professoressa Prisca Liberali: «Gli organoidi riescono a imitare alcune funzioni chiave, come il metabolismo dei farmaci, e questo è importante nella fase preclinica della sperimentazione»;
  • accanto agli organoidi, si sta lavorando anche sugli organ-on-a-chip, microdispositivi che combinano colture cellulari e tecnologie di microfluidica per simulare il funzionamento di organi umani in condizioni realistiche. Questi sistemi permettono, ad esempio, di riprodurre il flusso sanguigno o i movimenti respiratori, e possono essere utili per studiare l’effetto di un farmaco su tessuti complessi in modo dinamico;
  • un’altra frontiera promettente è quella dei modelli computazionali, basati su simulazioni al computer e tecniche di intelligenza artificiale. Tuttavia, ha ricordato la tossicologa Alessandra Roncaglioni dell’Istituto Mario Negri, il problema principale è definire quando il risultato ottenuto è sufficientemente affidabile, perché tutto dipende dal margine di incertezza che siamo disposti ad accettare.

UN RUOLO ANCORA CENTRALE

Nonostante i progressi, il modello animale resta oggi insostituibile in molti ambiti. Come ha osservato Giuliano Grignaschi: «Tutti i modelli – animali, cellulari, computazionali – sono imperfetti. Ma è proprio mettendoli insieme che possiamo ridurre al minimo il margine di incertezza». In molti casi, solo combinando i diversi modelli si può ottenere un quadro sufficientemente completo e affidabile. La ricerca di base, la sicurezza alimentare, la tossicologia ambientale e la biomedicina clinica restano fortemente dipendenti dalla sperimentazione animale, anche se con numeri in costante diminuzione grazie all’uso di tecnologie avanzate.

TRASPARENZA E COMUNICAZIONE: COSA MANCA

Un altro nodo critico riguarda la comunicazione. Spesso i ricercatori evitano di parlare apertamente dell’uso di animali per timore di reazioni ostili. Eppure, proprio questa reticenza alimenta sospetti e sfiducia. Come ha ricordato Grignaschi, “la mancanza di trasparenza dà l’idea che ci sia qualcosa da nascondere”. Anche il linguaggio tecnico può creare distanza: termini come “modello murino” (cioè un modello sperimentale basato sul topo) o “preclinico” (la fase della ricerca che precede la sperimentazione sull’uomo) non sono chiari a tutti. Serve quindi una comunicazione più onesta, chiara e non sensazionalistica, che spieghi non solo i risultati ma anche i limiti e i metodi della ricerca.

FORMAZIONE, COSTI, FUTURO: COSA SERVE PER CAMBIARE

Il cambiamento non può passare solo attraverso la buona volontà. Servono investimenti pubblici e formazione specifica. Come ha ricordato Arti Ahluwalia, bioingegnera dell’Università di Pisa: «Se i ricercatori non vengono formati su metodi alternativi, continueranno a usare l’animale, perché è il modello che conoscono».

Anche il fattore economico gioca un ruolo importante. Se da un lato avviare un laboratorio di tecniche cellulari o simulazioni in silico è costoso, dall’altro la gestione quotidiana di uno stabulario ha costi ancora più elevati e difficilmente sostenibili nel lungo periodo. La spinta economica ha già fatto la differenza in settori come la cosmesi, dove le aziende hanno investito per eliminare i test su animali, sviluppando metodi alternativi validi e approvati.

UN CAMBIAMENTO A PICCOLI PASSI

Sostituire completamente la sperimentazione animale in pochi anni è un obiettivo ambizioso e, per ora, irrealistico. Ma i progressi sono concreti e vanno nella direzione giusta. La via indicata dalla regola delle tre R – ridurre, raffinare, rimpiazzare  – è ancora oggi la bussola più affidabile.

Per riuscire davvero a cambiare serviranno investimenti, tempo, formazione e soprattutto trasparenza. Solo così sarà possibile immaginare una ricerca più etica, più efficace e sempre più centrata sull’essere umano.


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