Gli "effetti collaterali" delle terapie anticancro non riguardano solo il corpo ma anche le tasche. Un costo che non compare nei bilanci sanitari ma in quelli del malato: in Italia il 16% delle donne e il 15% degli uomini lasciano il lavoro dopo la diagnosi, mentre ogni paziente spende di tasca propria in media 1.800 euro l’anno -ma il dato è ampiamente sottostimato- per curarsi. Ad affermarlo sono gli oncologi italiani riuniti a Roma al congresso dell'AIOM, l'Associazione Italiana di Oncologia Medica. Dati che dimostrano come la "tossicità finanziaria" sia una condizione sempre più diffusa anche nel nostro Paese.
COSA SI INTENDE PER TOSSICITÀ FINANZIARIA
Con il termine di tossicità finanziaria ci si riferisce all’impatto economico che la malattia oncologica ha sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie. Il termine, nato negli Stati Uniti, è ormai usato anche in Europa per descrivere le difficoltà economiche dirette (costi delle cure, spese di trasporto, farmaci non rimborsati) e indirette (perdita di reddito, riduzione dell’attività lavorativa) che accompagnano la diagnosi di tumore.
IL PROGETTO PROFFIT
Per provare a fotografare la situazione della tossicità finanziaria in un sistema sanitario universalistico come quello italiano, gli oncologi di AIOM hanno messo a punto PROFFIT, un questionario volto a misurare la tossicità finanziaria in un contesto di sanità pubblica. I dati non lasciano spazio all’interpretazione: in Italia il 16% delle donne e il 15% degli uomini lasciano il lavoro dopo la diagnosi. Un dato, presentato al congresso, che si aggiunge a quello di uno studio illustrato nell'edizione 2024: su 3.760 cittadini con tumore in Italia, al momento della diagnosi il 26% ha affrontato problemi di natura economica e il 22,5% ha peggiorato questa condizione durante il trattamento.
L'IMPOVERIMENTO INCIDE SULLA SOPRAVVIVENZA
Attenzione però a pensare che il peggioramento delle condizioni economiche sia una questione che riguarda solo le finanze personali. Tutt'altro. «Chi sperimenta difficoltà economiche dopo la diagnosi – spiega Francesco Perrone, presidente AIOM e direttore delle Sperimentazioni Cliniche dell’Istituto Pascale di Napoli – ha un rischio di morte del 20% più alto rispetto a chi non le affronta. È un impatto paragonabile, in senso opposto, al beneficio di molte terapie approvate negli ultimi anni. La tossicità finanziaria è dunque un effetto collaterale reale, che dobbiamo imparare a riconoscere e misurare».
LA LEZIONE DAGLI STATI UNITI
Negli Stati Uniti, dove la copertura sanitaria dipende in gran parte dalle assicurazioni, il concetto di financial toxicity è noto da tempo. Il rischio di morte per chi, dopo la diagnosi, entra in bancarotta è quasi doppio rispetto a chi riesce a mantenere la stabilità economica. «In un sistema privato si tende ad accettarlo come inevitabile – osserva Massimo Di Maio, presidente eletto AIOM –. Ma in Italia e negli altri Paesi con un servizio sanitario pubblico, la tossicità finanziaria non può essere considerata una fatalità. Dobbiamo garantire non solo l’accesso alle cure, ma anche la possibilità di sostenerle senza comprometterne il senso».
LE CAUSE NASCOSTE DEL DISAGIO ECONOMICO
A spiegare meglio le origini della tossicità finanziaria è Laura Arenare, biostatistica dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli e coautrice dello studio che ha validato PROFFIT (Patient Reported Outcome for Fighting Financial Toxicity), il questionario sviluppato dagli oncologi italiani per misurare in modo sistematico il fenomeno. «PROFFIT è composto da 16 affermazioni – nove sulle cause, sette sulle conseguenze – che permettono di stimare in modo appropriato i livelli di tossicità finanziaria. La forza di questo strumento è quella di partire dal punto di vista dei pazienti, senza condizionamenti da parte dei clinici. Dalla nostra analisi emergono differenze territoriali importanti: i pazienti delle regioni meridionali riferiscono livelli di difficoltà economica più elevati rispetto a quelli del Nord».
Tre, secondo AIOM, le macroaree su cui intervenire per ridurre il fenomeno: la presa in carico disomogenea dei malati sul territorio, legata al funzionamento a macchia di leopardo delle Reti Oncologiche Regionali; la distanza dai centri di cura, che anche quando si traduce in pochi chilometri comporta costi di viaggio e assenze dal lavoro; e infine le spese non coperte dal Servizio sanitario, come integratori, fisioterapia, cure odontoiatriche, chirurgia ricostruttiva e ausili essenziali per la qualità di vita.
LE SPESE AUMENTANO, IL REDDITO DIMINUISCE
Proprio su questo aspetto insiste Elisabetta Iannelli, segretario generale di FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia): «Il dato dei 1.800 euro annui è largamente sottostimato. Ai costi diretti vanno sommati quelli indiretti: perdita di reddito, giornate di lavoro saltate, rinuncia a opportunità professionali. In molti casi le spese aumentano proprio quando le entrate diminuiscono. E restano escluse prestazioni fondamentali come la fisioterapia o la chirurgia ricostruttiva, insieme a ausili come parrucche o reggiseni post-operatori, che per molte donne rappresentano una parte cruciale del percorso di ritorno alla vita».
GUARIRE SENZA IMPOVERIRE
Nel 2024 in Italia sono state 390.100 le nuove diagnosi di tumore. Oggi vivono dopo una diagnosi oncologica 3,7 milioni di persone, destinate a superare i 4 milioni entro il 2030. La sopravvivenza cresce, ma con essa cresce anche la necessità di prendersi cura della sostenibilità delle cure stesse. «Oggi metà dei pazienti guarisce – conclude Perrone –. Ma non possiamo ignorare che la malattia, anche quando non uccide, può impoverire. Riconoscere la tossicità finanziaria come parametro di qualità significa occuparsi davvero di equità di cura».


