Studiare i meccanismi che legano due malattie così diverse e temute come il cancro e il morbo di Parkinson non è solo una sfida scientifica, ma anche un modo per scoprire nuovi strumenti di diagnosi e cura. È quello su cui lavora Stefania Farina, vincitrice di un finanziamento di Fondazione Veronesi e ricercatrice presso dell’Università degli Studi dell’Aquila. Col suo progetto indaga il ruolo della proteina LRRK2, un fattore di rischio già noto nel Parkinson e oggi sotto la lente anche per il suo possibile coinvolgimento nello sviluppo di alcuni tumori, come il tumore al seno. Capire come le mutazioni di LRRK2 possano influenzare i meccanismi protettivi che normalmente riducono il rischio di cancro nei pazienti affetti da malattie neurodegenerative significa aprire strade nuove sia nella diagnosi che nella terapia.
Stefania, perché ti interessa il legame tra neurodegenerazione e oncologia?
Nel contesto delle patologie legate all'invecchiamento, il cancro e le patologie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer sono generalmente considerate come condizioni cliniche separate. Tuttavia, negli ultimi anni diverse evidenze scientifiche hanno dimostrato un’associazione inversa tra cancro e patologie neurodegenerative e questo suggerisce un meccanismo “protettivo” per cui pazienti affetti da queste malattie neurodegenerative hanno un ridotto rischio di sviluppare il cancro. In questo scenario, la chinasi LRRK2 rappresenta una notevole eccezione.
Ci parli di questa proteina particolare?
La proteina LRRK2, è coinvolta in specifici meccanismi molecolari alla base del funzionamento cellulare ed è noto fattore di rischio per lo sviluppo del Parkinson, è stata recentemente associata anche ad un aumentato rischio di sviluppo di certe tipologie di cancro, tra cui il cancro al seno. In particolare, alcune forme di carcinoma mammario molto invasive sono associate ad un alto carico di mutazioni al gene che codifica per la proteina LRRK2. Questi risultati indicano che le mutazioni di LRRK2 possono dunque sovvertire i meccanismi protettivi del cancro associati alla neurodegenerazione cronica.
Cosa vorresti scoprire con il tuo progetto?
Vorrei capire davvero come questa proteina LRRK2 interagisca con il DNA e con i meccanismi che proteggono le cellule dai danni. Inoltre, utilizzando approcci di bioinformatica e di laboratorio vorrei capire come LRRK2 giochi un ruolo nello sviluppo del cancro al seno, perché ad ora è del tutto sconosciuto. Successivamente, vorrei testare alcuni farmaci per ridurre la proliferazione tumorale senza danneggiare i tessuti sani. Sono certa che poter comprendere il ruolo di LRRK2 nello sviluppo del cancro al seno apra a scenari molto promettenti sia dal punto di vista diagnostico sia terapeutico.
Sei stata all’estero nella tua carriera da ricercatrice?
Si, la curiosità e un po’ di incoscienza mi hanno spinto ad andare a Rotterdam. È stata un po' una “pazzia”. Fare le valigie e partire da sola verso l’Olanda, dopo aver sempre vissuto in un piccolo paesino della provincia di Caserta, credo sia da annoverare tra i miei atti più sconsiderati e coraggiosi. Anche se l’Italia mi è mancata per il cibo e il calore delle persone, questa esperienza all’estero mi ha lasciato una grandissima consapevolezza delle mie capacità come donna e ricercatrice. Fino ad allora mi sentivo insicura e molte cose mi spaventavano.
Quando hai capito davvero di voler continuare la strada della ricerca?
È stato proprio a Rotterdam. Nella vita sono sempre stata una persona molto curiosa e da quando studiavo al liceo chiedermi il perché e il come delle cose era il motore pulsante del mio percorso. Ma il momento esatto in cui ho deciso che avrei intrapreso la strada della ricerca ad ogni costo me lo ricordo bene: ero a Rotterdam, arrivata per la prima volta da poche settimane. Era una fredda mattina di aprile e tanto per cambiare pioveva. Mentre pedalavo sotto la pioggia ascoltavo la canzone ‘Megamix’ di Jovanotti e nelle parole “è questa la vita che sognavo da bambino” mi ci sono ritrovata completamente.
Hai un ricordo particolare legato alla ricerca?
Durante il mio dottorato mentre stavo studiando delle pubblicazioni scientifiche mi venne un’idea. Così, in accordo e con il grande supporto del mio supervisor, decidemmo di testarla. Il momento in cui mi sono seduta difronte al microscopio e ho visto che la mia idea era giusta. Mi è scesa una piccola lacrima di orgoglio e felicità.
Oltre alla scienza cosa ti ha portato umanamente questo lavoro?
Della ricerca mi piace che non è un lavoro piatto: bisogna sempre studiare, provare ed imparare soprattutto dalle sconfitte. Ho sempre avuto la fortuna di frequentare laboratori con colleghi provenienti da tutto il mondo e ho potuto constatare quanto la mia cultura e alcune mie tradizioni abbiano molti punti in comune con culture provenienti oltre oceano. Allo stesso tempo però mi sono scontrata con usi e costumi a me molto distanti che ho imparato piano piano a capire e soprattutto a non giudicare più con sufficienza.
Una figura che ti ha ispirato particolarmente?
Mi ha ispirato il mio professore olandese conosciuto durante la prima esperienza a Rotterdam durante il corso di Magistrale. Era un grande scienziato ma soprattutto una persona straordinaria.
Mi ha insegnato ad essere estremamente ligia nel mio lavoro e soprattutto avere grande rispetto del lavoro altrui a qualsiasi livello.
Che cos’è per te la ricerca?
Per me è ragione e caparbietà. L’ultima volta che mi sono commossa è stata proprio quando ho ricevuto la notifica che avevo vinto la borsa da parte della Fondazione Veronesi. Finalmente, una ente così importante aveva creduto nelle mie idee. Infatti, ogni mattina mi sveglio ed entro in laboratorio con la consapevolezza che sto giocando un piccolo ruolo nel grande e affascinante mondo della ricerca scientifica. I risultati che produco sono un piccolo mattoncino che spero contribuisca allo scopo di costruire un futuro dove certe malattie non fanno più paura.
Raccontaci di te, quando non sei in laboratorio
Ho un compagno e tre meravigliosi gatti. Amo fare kickboxing, yoga e andare ai concerti. Vorrei fare paracadutismo e vedere l’aurora boreale. Sono molto soddisfatta e tutto quello che ho fatto nella mia vita personale e professionale è sempre stato fatto con l’obiettivo di non avere rimpianti.
Perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?
È importante donare alla ricerca perché non dobbiamo fermarci. Per fortuna grazie all’enorme contributo della tecnologia, riusciamo a fare grossi passi avanti in poco tempo. Abbiamo bisogno del sostegno delle donazioni per arrivare tutti allo stesso scopo.
Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?
Vorrei dire innanzitutto Grazie! E aggiungo che la loro donazione non solo ci dà il sostegno materiale e di fiducia nel nostro lavoro, ma li rende loro stessi partecipi di uno scopo comune ed importantissimo. La ricerca è l’unica speranza per malattie che oggi fanno molta paura, tutti insieme possiamo contribuire a non far sentire soli i pazienti e le loro famiglie.