Cosa succede quando uno stile di vita sano, noto per proteggere il cuore, viene adottato anche da chi ha affrontato un tumore? Secondo una nuova ricerca italiana, pubblicata sull’European Heart Journal, i benefici possono essere sorprendenti: i fattori alla base della salute cardiovascolare si associano anche ad una maggiore sopravvivenza nei pazienti oncologici.
Tumore e stile di vita: cosa ci dice il punteggio LS7
Lo studio è stato condotto nell’ambito del Progetto UMBERTO, sostenuto da Fondazione Veronesi. Gli autori, un team di ricercatori dell'IRCCS Neuromed di Pozzilli, si sono basati sui dati dello studio Moli-sani, coinvolgendo 779 adulti italiani, uomini e donne, che al momento dell’arruolamento avevano già ricevuto una diagnosi di tumore. I partecipanti sono stati seguiti per un periodo medio di oltre 15 anni, durante i quali i ricercatori hanno monitorato il loro stato di salute e lo stile di vita.
Per farlo, è stato utilizzato un indice chiamato Life’s Simple 7 (LS7), sviluppato dall’American Heart Association per valutare la salute cardiovascolare in base a sette fattori di rischio modificabili:
- il fumo
- l’attività fisica
- la dieta
- l’indice di massa corporea
- la pressione arteriosa
- il colesterolo
- la glicemia.
A ciascun parametro viene assegnato un punteggio e i valori complessivi vengono classificati in tre categorie: salute cardiovascolare scarsa, intermedia o ideale. Nel campione analizzato, solo 1 persona su 5 raggiungeva il punteggio ideale, mentre quasi il 30% presentava uno stato cardiovascolare considerato scarso. I comportamenti più frequentemente associati a un basso punteggio erano una dieta non equilibrata, un eccesso di peso corporeo e la pressione alta, elementi che rappresentano ancora oggi criticità diffuse anche nella popolazione generale.
L'effetto dello stile di vita su chi ha avuto un tumore
Le persone con uno stile di vita più sano – cioè con un punteggio LS7 nella fascia “ideale” – presentavano un rischio di morte per qualsiasi causa inferiore del 38% rispetto a chi aveva abitudini poco salutari e un punteggio basso. Chi invece si collocava nella fascia intermedia tra i due estremi beneficiava di un vantaggio del 26%. Ma il dato forse più interessante riguarda il gradiente di beneficio in termini di mortalità per tumore: ogni singolo punto in più nel punteggio LS7 si associava a una riduzione del 10% della mortalità per cancro, a conferma che anche piccoli miglioramenti nello stile di vita possono fare una grande differenza. La relazione si manteneva stabile anche considerando variabili come l’età, il tipo di tumore e i trattamenti ricevuti, ed è risultata lineare e progressiva: più alto il punteggio, più basso il rischio di mortalità.
Anche tra i diversi tipi di mortalità – per cancro, per cause cardiovascolari e per altre patologie croniche – il trend era coerente: uno stile di vita migliore si associava sistematicamente a una sopravvivenza più lunga, indipendentemente dalla causa di morte.
Secondo i ricercatori, questi risultati suggeriscono che gli stessi fattori di rischio cardiovascolare già ben noti nella popolazione generale possono giocare un ruolo rilevante anche nella prognosi dei pazienti oncologici. Migliorare lo stile di vita – attraverso l’alimentazione, l’attività fisica, il controllo del peso e la cessazione del fumo – si conferma quindi una strategia concreta e accessibile per supportare chi ha affrontato o sta affrontando un tumore, non solo in termini di qualità della vita, ma anche di sopravvivenza.
Un "terreno biologico" condiviso
Perché uno stile di vita benefico per il cuore ha un impatto positivo anche sulla sopravvivenza in oncologia? «Questo studio conferma un’ipotesi scientificamente molto interessante - commenta Maria Benedetta Donati, Principal Investigator della Piattaforma congiunta - ovvero che malattie croniche apparentemente diverse, come i tumori e le patologie cardiovascolari, possano condividere basi biologiche e meccanismi di sviluppo e progressione comuni. In letteratura questa ipotesi è nota come common soil, cioè un ‘terreno condiviso’ di meccanismi molecolari e fattori di rischio o protezione da cui si sviluppano condizioni cliniche differenti”. Tra questi, lo studio ha identificato l’infiammazione cronica di basso grado, la frequenza cardiaca a riposo e i livelli di vitamina D nel sangue come elementi chiave».
Quando i ricercatori hanno preso in considerazione questi biomarcatori, hanno osservato che oltre il 50% della relazione tra stile di vita salutare e riduzione della mortalità poteva essere spiegata proprio da questi meccanismi. In particolare, è emerso che livelli più alti di infiammatori circolanti (come la proteina C-reattiva), frequenze cardiache elevate e carenti livelli di vitamina D si associavano a una prognosi peggiore.
Questi fattori, spesso sottovalutati, riflettono lo stato complessivo dell’organismo e la sua capacità di rispondere allo stress fisiologico. Ad esempio, un sistema nervoso autonomo alterato, evidenziato da una frequenza cardiaca elevata, può influenzare negativamente sia la funzione cardiovascolare sia la crescita tumorale. Allo stesso modo, una condizione infiammatoria cronica favorisce l’ambiente biologico ideale per la progressione del tumore.
Il ruolo della dieta mediterranea
Uno degli elementi più interessanti dello studio riguarda l’adattamento del punteggio LS7 al contesto italiano. Invece di utilizzare il criterio generico di “alimentazione sana” previsto dalla versione originale americana, i ricercatori hanno considerato il grado di aderenza alla dieta mediterranea, un modello alimentare tradizionale del nostro territorio. Il risultato? Il legame tra stile di vita salutare e sopravvivenza è apparso ancora più marcato.
Questa evidenza conferma l’efficacia della dieta mediterranea – ricca di frutta, verdura, cereali integrali, legumi, pesce e olio extravergine d’oliva – non solo nella prevenzione delle malattie croniche, ma anche come strumento di supporto per chi ha già affrontato un tumore. Migliorare le abitudini alimentari, in sinergia con altri comportamenti salutari, può contribuire a prolungare la sopravvivenza e migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici.
«I risultati - spiega Licia Iacoviello, responsabile dell’Unità di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed e Ordinario di Igiene all’Università LUM di Casamassima - rafforzano l’idea che gli stili di vita salutari e la prevenzione primaria non servano soltanto a ridurre il rischio di sviluppare malattie croniche in persone sane, ma anche a migliorare la prognosi e la qualità della vita di chi ha già affrontato un tumore. È un messaggio di salute pubblica che unisce due ambiti solo apparentemente distinti: quello cardiovascolare e quello oncologico».


