di Alberto Scanni
Non solo la voglia di smettere le cure, ma anche la voglia di smettere i controlli. La voglia di tagliare quel cordone ombelicale che lascia legato alla malattia, che non fa sentire come tutti gli altri, i sani. La voglia di non svegliarsi più alla mattina e sentirsi un diverso, che non può più fare quello che faceva una volta. Le cure sono pesanti e a volte sembra di non potercela più fare. Gli effetti collaterali pesanti, sopportati perché si vuole a denti stretti la guarigione, ma che verso la fine della chemioterapia lasciano stremati. Tutti sacrifici che i malati fanno in funzione di una guarigione.
Ma anche quando è finita la trafila chemioterapica, c’è la fatica a sopportare i controlli: pensanti e snervanti, con i medici che sembrano ufficiali inquisitori, che vogliono rivoltare il malato come un calzino per capire se la malattia è andata e loro hanno vinto. Quella serie di esami, propinati a scadenze periodiche, sono vissute come supplizi, inflitti per cercare il pelo nell’uovo, non considerando la situazione psicologica di malato. E spesso i medici non aiutano, tutti presi dal loro tecnicismo e non comprendano il disagio, di chi hanno di fronte che ha voglia di scappare. Essere pedestri nelle richieste e nei controlli non è sempre vissuto dal malato come un vantaggio.
Riflettere dunque sul fatto che spesso la rigorosità dei controlli a scadenze ravvicinate, non sono ben sopportate. Il lasciare libero il malato da qualche esame può essere un bene per lui, soprattutto dal punto di vista psicologico, un qualcosa che lo rasserena con la vita e lo riconcilia con il mondo.