Non solo l'età. Lo screening mammografico, in futuro, potrebbe subire un notevole cambiamento nel criterio di selezione delle donne che si devono sottoporre alla mammografia. Diversi studi infatti stanno mostrando come il solo dato anagrafico sia insufficiente nello stimare le probabilità di intercettare la malattia in fase precoce. Ultimo in ordine di tempo è il trial WISDOM, presentato al San Antonio Breast Cancer Symposium (SABCS) e pubblicato sulle pagine della rivista JAMA. Risultato? Uno screening personalizzato in base al rischio individuale è sicuro quanto quello annuale standard e potrebbe contribuire a ridurre le diagnosi di tumori del seno in fase avanzata.
COS’È LO SCREENING MAMMOGRAFICO
Lo screening mammografico è uno strumento di prevenzione secondaria: serve a intercettare il tumore al seno quando è ancora asintomatico e in fase iniziale, aumentando le possibilità di cura e riducendo la mortalità. Numerosi studi hanno dimostrato che l’introduzione dei programmi di screening organizzati ha contribuito in modo significativo al calo dei decessi per cancro della mammella osservato negli ultimi decenni. Tradizionalmente, però, lo screening è stato costruito quasi esclusivamente sull’età, senza tenere conto della grande variabilità individuale nel rischio di sviluppare la malattia.
LO SCREENING NEL MONDO
In Italia lo screening mammografico è organizzato dal Servizio Sanitario Nazionale ed è offerto gratuitamente alle donne tra i 50 e i 69 anni, con estensioni progressive in alcune Regioni fino ai 45–74 anni. L’intervallo standard è di due anni, con alcune eccezioni nelle fasce più giovani. Negli Stati Uniti invece la raccomandazione prevalente è stata quella di eseguire una mammografia annuale a partire dai 40 anni, pur con differenze tra società scientifiche. Un approccio estensivo, che ha garantito ampia copertura ma anche acceso il dibattito su sovradiagnosi, falsi positivi e procedure inutili. Che sia Europa, Italia o Stati Uniti, il criterio resta però prevalentemente anagrafico.
I RISULTATI DELLO STUDIO WISDOM
Il trial WISDOM ha messo alla prova, per la prima volta in modo rigoroso, l’idea che non tutte le donne abbiano bisogno dello stesso screening. Nello studio, oltre 28 mila donne tra i 40 e i 74 anni sono state seguite per circa cinque anni e assegnate a due strategie diverse: da un lato la mammografia annuale, dall’altro uno screening personalizzato costruito sul profilo di rischio individuale.
In quest’ultimo gruppo, il rischio di sviluppare un tumore al seno non veniva stimato sulla base dell’età o della sola familiarità, ma attraverso una valutazione più articolata, che integrava fattori clinici, densità mammaria e dati genetici. Tutte le partecipanti avevano accesso a un test genetico esteso, che includeva non solo le mutazioni più note, come BRCA1 e BRCA2, ma anche altre varianti associate a un aumento del rischio, combinate in un punteggio poligenico. Queste informazioni venivano poi elaborate da un algoritmo in grado di collocare ogni donna in una specifica fascia di rischio.
Il risultato principale è rassicurante: lo screening basato sul rischio non ha portato a un aumento delle diagnosi tardive. Al contrario, il numero di tumori diagnosticati in fase più avanzata è risultato almeno sovrapponibile, se non inferiore, rispetto allo screening tradizionale. Un dato centrale, perché dimostra che ridurre o modulare la frequenza degli esami nelle donne a basso rischio non significa “perdere” tumori.
Un segnale particolarmente interessante arriva dalle donne classificate a rischio più elevato. In questo gruppo, sottoposto a controlli più ravvicinati e, quando indicato, anche alla risonanza magnetica, non sono stati osservati tumori diagnosticati in stadio avanzato. Un risultato che suggerisce come una migliore identificazione del rischio permetta di concentrare lo screening proprio dove è più probabile intercettare forme clinicamente rilevanti.
I LIMITI
Lo studio mostra anche i limiti della personalizzazione. Nonostante nel gruppo sottoposto a screening basato sul rischio siano state eseguite meno mammografie, il numero complessivo di biopsie non si è ridotto in modo significativo, a conferma del fatto che il problema dei falsi positivi non viene eliminato automaticamente.
Nel complesso, però, WISDOM ha dimostrato che uno screening adattato al rischio è sicuro e praticabile, e che affiancare all’età informazioni biologiche e cliniche consente una stratificazione più realistica delle donne che possono beneficiare di controlli più intensivi.
GLI ALTRI STUDI IN CORSO
Lo studio WISDOM non è un caso isolato. Negli ultimi anni anche in Europa sono stati avviati progetti che puntano a superare uno screening mammografico basato esclusivamente sull’età, introducendo criteri più raffinati di stratificazione del rischio. Il più avanzato è MyPeBS (My Personalized Breast Screening), uno studio multicentrico europeo che coinvolge decine di migliaia di donne, tra cui anche una quota arruolata in Italia.
Anche in questo caso l’obiettivo è valutare se adattare la frequenza e l’intensità dello screening al profilo di rischio individuale -calcolato integrando fattori clinici, densità mammaria e informazioni genetiche- consenta di ridurre le diagnosi in stadio avanzato rispetto all’approccio standard. Studi osservazionali condotti nel Regno Unito e nei Paesi nordici hanno già mostrato come elementi come la densità del seno o il rischio genetico modifichino in modo sostanziale la probabilità di sviluppare un tumore al seno, indipendentemente dall’età anagrafica.
Nel loro insieme, questi lavori indicano una direzione comune: lo screening potrebbe diventare meno uniforme, ma più mirato, concentrando controlli più serrati sulle donne a rischio più elevato e riducendo esami inutili in chi ha una probabilità molto bassa di sviluppare la malattia nel breve periodo.


