Per molte donne con tumore al seno metastatico HR-positivo/Her2-negativo la terapia ormonale resta il cardine delle cure. Ma quando la malattia smette di rispondere le opzioni si riducono drasticamente. Uno scenario che potrebbe presto cambiare grazie a due studi presentati al congresso dell'European Society for Medical Oncology (ESMO) che mostrano come nuovi farmaci orali (i SERDs) e combinazioni mirate potrebbero prolungare l’efficacia dell’ormonoterapia e aprire l’era di una cura endocrina di nuova generazione.
CONTROLLARE LA MALATTIA
Ogni anno in Italia vengono diagnosticati circa 53 mila nuovi casi di tumore al seno. Grazie alla diagnosi precoce e ai progressi terapeutici, la maggior parte delle pazienti oggi guarisce ma circa il 5-6% presenta già una malattia metastatica alla diagnosi e molte altre possono svilupparla nel tempo. In questi casi l’obiettivo non è più la guarigione definitiva ma mantenere la malattia sotto controllo il più a lungo possibile, preservando la qualità di vita.
IL RUOLO DEGLI INIBITORI DI CDK4/6
Per le donne con carcinoma mammario metastatico HR-positivo e HER2-negativo (la forma più comune di tumore al seno) la cura inizia quasi sempre con la combinazione di ormonoterapia e inibitori di CDK4/6. Questa strategia ha cambiato radicalmente il trattamento permettendo di controllare il tumore per molti anni. Nel tempo però, come accade con molti farmaci, la risposta tende a ridursi perché il tumore diventa resistente alla terapia endocrina.
A quel punto, il percorso prosegue in base alle caratteristiche molecolari del tumore. Se è presente una mutazione del gene PIK3CA, si può utilizzare alpelisib insieme a fulvestrant. Se la mutazione non c’è, l’opzione resta fulvestrant da solo o in combinazione con everolimus. Queste terapie consentono un controllo di malattia di alcuni mesi, ma l’obiettivo oggi è prolungare la fase ormonale -ritardando il più possibile il ricorso alla chemioterapia- che resta riservata ai casi più aggressivi.
MIGLIORARE LA TERAPIA ENDOCRINA
La sfida di oggi è quindi trasformare la terapia endocrina classica in una versione più evoluta, in grado di superare la resistenza e mantenere il controllo della malattia più a lungo. A indicare la direzione sono i nuovi SERDs orali, farmaci di ultima generazione che agiscono degradando il recettore degli estrogeni, cioè la principale “antenna” attraverso cui le cellule tumorali ricevono il segnale di crescita ormonale. Rispetto ai trattamenti iniettabili come fulvestrant, i SERDs orali permettono un’azione più completa e continua, anche in presenza di mutazioni del gene ESR1, una delle cause più comuni di resistenza all’ormonoterapia. In Italia è già disponibile elacestrant, il primo SERD orale approvato da AIFA per le pazienti con mutazione ESR1 dopo progressione alla combinazione di terapia ormonale + inibitori di CDK4/6.
I RISULTATI DEGLI STUDI
Al congresso ESMO sono stati presentati due studi che potrebbero migliorare ulteriormente la situazione. Il primo è evERA BC, che ha valutato l’efficacia del nuovo SERD orale GIRE in combinazione con everolimus, un farmaco già usato in questo contesto. La ricerca ha coinvolto più di 370 donne Rispetto alle pazienti trattate con le terapie endocrine oggi disponibili, l’associazione di GIRE ed everolimus ha permesso di mantenere la malattia sotto controllo per una durata quasi doppia: circa dieci mesi rispetto ai cinque ottenuti con la cura standard. Il vantaggio è risultato ancora più evidente nelle donne con mutazione ESR1, un’alterazione genetica che spesso rende il tumore resistente agli ormoni.
Un approccio diverso, ma complementare, è stato sperimentato nello studio VIKTORIA-1 (LBA16). In questo caso i ricercatori hanno testato il farmaco gedatolisib, che agisce su un altro meccanismo di resistenza, quello della via PI3K/AKT/mTOR, cioè la “catena di comando” che regola la crescita delle cellule tumorali. Lo studio ha coinvolto quasi 400 pazienti senza mutazioni di PIK3CA e ha confrontato tre diverse combinazioni di trattamento: fulvestrant da solo, gedatolisib + fulvestrant e gedatolisib + fulvestrant + palbociclib (un inibitore di CDK4/6). I risultati sono stati molto chiari: con la tripla combinazione la malattia è rimasta stabile in media per oltre 9 mesi, con la doppia combinazione per circa 7 mesi, mentre con il trattamento standard si fermava a poco più di 2 mesi.
PROSPETTIVE FUTURE
Questi risultati preliminari mostrano come l’ormonoterapia stia entrando in una nuova fase, quella della terapia ormonale 2.0, più precisa e duratura. Dopo l’arrivo di elacestrant e con i nuovi farmaci in sviluppo, l’obiettivo di prolungare il controllo della malattia e ritardare il ricorso alla chemioterapia si fa sempre più alla portata.