Nel 2020 Giulia ha 31 anni e la vita sembra finalmente a un punto di equilibrio: un lavoro che la appaga, la convivenza con Simone, l’idea concreta di un figlio. Poi, sotto la doccia, durante una vacanza estiva, la scoperta: una pallina sospetta al seno. Da lì, un vortice fatto di controlli, diagnosi, intervento, radioterapia e terapia ormonale. La malattia le ha donato una nuova sé che ora, grazie allo sport e alla psicoterapia, riesce ad amare.
UN CORPO NUOVO
Dopo la mastectomia e l’inizio della terapia ormonale, Giulia si ritrova a fare i conti con un corpo che non sente più suo e fatica ad accettare.
«L’operazione di mastectomia ha provocato una lunga cicatrice. Inoltre, non è stato facile affrontare la menopausa precoce, con tutti gli effetti collaterali conseguenti. Vedermi e pensarmi in quel modo nuovo è stata la parte più difficile. Non mi riconoscevo e faticavo a capire chi ero diventata», racconta.
È qui che iniziano due percorsi paralleli — uno con le gambe, l’altro con la mente.
CORRERE PER FARE PACE CON SE STESSA
Giulia non è mai stata una grande sportiva. Ha iniziato a correre poco prima della diagnosi, senza troppe pretese. Ma dopo l’intervento, e con gli effetti collaterali della terapia ormonale — aumento di peso e dolori articolari come conseguenza della menopausa precoce — lo sport diventa una necessità, una via per riprendere il controllo, un obiettivo dopo l’altro.
Decide di unirsi al progetto Pink Ambassador di Fondazione Veronesi, un gruppo di donne che dopo aver affrontato un tumore tipicamente femminile, corrono insieme per sensibilizzare alla cultura della ricerca e della prevenzione.
«Volevo superare i miei limiti, imposti dalla malattia e dalle terapie. Volevo dimostrare a me stessa che il mio corpo, anche se cambiato, era ancora capace. E infatti ho corso una mezza maratona con le Pink. E poi, addirittura, la maratona di New York».
Dalle parole di Giulia si capisce che ogni traguardo tagliato non è solo sportivo, ma anche un modo per riscrivere la narrazione del proprio corpo. Non più solo “corpo operato”, ma corpo forte, vivo, resiliente.
IL RUOLO DELLA PSICOTERAPIA
In parallelo al percorso fisico, Giulia affronta anche un cammino psicologico. All’epoca della malattia, ormai cinque anni fa, stava studiando per diventare psicoterapeuta, e questo l’ha portata – non solo per obbligo formativo ma per reale bisogno – ad affrontare una psicoterapia personale.
«In quel momento avevo bisogno di un luogo sicuro dove poter dire tutto ciò che provavo e che spesso tenevo per me. Anche le persone a me più vicine, infatti, alle volte faticavano a capirmi, forse perché troppo impaurite da quello che stavo affrontando. Parlare con qualcuno che non ti giudica, che ti aiuta a vedere le cose da un’altra prospettiva, è stato fondamentale, specialmente per abbracciare e accettare il cambiamento».
UNA NUOVA SÈ DA AMARE
Giulia oggi ha 35 anni. Viaggia di più, si allena e sogna nuove gare di corsa insieme alle Pink, come la mezza maratona di Palermo e la maratona di Atene. Senza dimenticare la maratona di Valencia, che in questo caso correrà insieme al marito Simone.
L’unico rimpianto è quello di non aver crioconservato gli ovociti prima delle cure.
«Al momento ho sospeso la terapia ormonale per provare a realizzare il sogno della maternità. Dopo quasi un anno il ciclo è tornato, ma il tempo è poco, e so che presto dovrò riprendere le cure. Resta un percorso incerto, ma ci provo, perché è un desiderio che sento ancora forte».
Giulia dopo la malattia ha anche ridisegnato le sue priorità. «Non rinuncio più a nulla. Non rimando. Se una cosa mi piace, la faccio e non perdo più tempo con persone che non reputo davvero importanti. Ho anche imparato a dare al lavoro il giusto peso. Oltre a quello, infatti, c’è molto di più. C’è una Giulia prima e una Giulia dopo il tumore. Sono profondamente innamorata della Giulia di adesso. Ora riesco a volerle un gran bene».