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Fabio Di Todaro
pubblicato il 19-06-2015

Traumi alla mano, quando il tempo è tutto



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Quasi 25mila interventi l'anno in Italia. Nei casi come quello del controllore aggredito a Milano, capacità e prontezza decidono l'esito

Traumi alla mano, quando il tempo è tutto

Il suo sviluppo ha condizionato l’evoluzione dell’uomo allo stesso modo del progresso registrato nelle attività cerebrali. Se nelle scimmie le dita erano poste sullo stesso piano e rendevano impossibile afferrare qualsiasi oggetto, oggi difficilmente riusciremmo a svolgere un’attività tenendo le mani in tasca per più di un’ora. Rispetto alle altre popolazioni, gli italiani le usano non solo per impugnare un libro o un arnese, ma anche per esprimersi. Ecco perché averle in buona salute fa la differenza.

 

NON SOLO TRAUMI

I primi a preoccuparsi della salute degli arti superiori sono i chirurghi, gli sportivi e i musicisti, che senza delle mani efficienti difficilmente potrebbero lavorare. A livello generale, invece, la sensibilità cresce soprattutto quando si parla dei traumi che provocano l’amputazione. Ma se in Italia gli interventi effettuati ogni anno a carico della mano - il 90% dei quali in chirurgia in day hospital - sfiorano quota venticinquemila, vuol dire che in sala operatoria non si finisce soltanto per tagli ed esplosioni (i cassi più gravi). Nella casistica dei pazienti trattati dagli specialisti - riuniti fino al 20 giugno a Milano per il congresso della Società Europea di Chirurgia della Mano - finiscono anche i bambini (sindattilia, polidattilia e agenesia le malformazioni congenite più diffuse) e gli adulti (colpiti, soprattutto dopo i quarant’anni, da tendinopatie e forme di artrosi degenerative).

 

TRAPIANTI, ANCORA TROPPI RIGETTI

Da dieci anni, infine, anche in Italia s’è aperta l’era del trapianto della mano. Il primo intervento del genere fu effettuato a Monza nel 2000, anche se due anni fa il paziente ha deciso di far amputarsi l’arto: per colpa delle troppe reazioni di rigetto. «Sul trapianto esiste ancora un problema legato alla compatibilità tra i tessuti - dichiara Riccardo Lucchetti, responsabile per le patologie del polso al policlinico Multimedica di Milano e presidente della Società Italiana di Chirurgia della Mano -. Ma nel complesso i passi avanti registrati in questo ambito della chirurgia sono notevoli. Oggi riusciamo a riattaccare un arto tagliato di netto, anche se il recupero della sensibilità non è quasi mai completo». L’affermazione è attualissima, vista l’aggressione subita pochi giorni fa da un controllore ferroviario milanese, cui è stato sub-amputato il braccio sinistro.

 

IL LENTO RECUPERO

L’intervento di reimpianto, realizzato all’ospedale Niguarda di Milano, è andato a buon fine. Come è stato realizzato lo spiega Giorgio Pajardi, direttore del dipartimento di chirurgia della mano all’ospedale San Giuseppe di Milano. «Si parte sempre dalla ricostruzione dell’osso, ricorrendo all’innesto di una placca metallica. Dopodiché si ripara la lesione dei tendini. Infine si procede ristabilendo la circolazione sanguigna nell’arto. Più in alto avviene la lesione dell’arto, meno tempo c’è per entrare in sala operatoria». Quanto alla riabilitazione, la fase acuta termina dopo sei mesi.

«Dopo occorre sperare che la formazione della fibra nervosa sia rapida e completa: più complessa è la lesione, meno probabile è che il tessuto nervoso torni com’era», afferma Max Haerle, direttore del dipartimento di chirurgia plastica e della mano della clinica ortopedica di Markgroningen, in Germania. Il percorso può durare pochi mesi, nel caso in cui a essere coinvolte dal taglio siano state le dita, o più di due anni, quando la lesione si registra a ridosso della spalla.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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