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Daniele Banfi
pubblicato il 15-11-2018

Epatite C: progetti mirati per eradicare la malattia



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Gli antivirali cancellano il virus dell'epatite C. Ora l'obbiettivo è avviare progetti speciali per raggiungere la popolazione a rischio come quella carceraria e dei tossicodipendenti

Epatite C: progetti mirati per eradicare la malattia

Eradicare l'epatite C è possibile. Oggi i farmaci ci sono e funzionano perfettamente. Ora è solo questione di organizzazione. In Italia sono già oltre 160 mila le persone trattate. Ma ora che l'emergenza è finita occorrerà intercettare chi non sa di avere il virus e chi per motivi differenti - come la popolazione carceraria e quella dei tossicodipendenti - pur essendo positiva al virus non è stata ancora trattata. Trattamento che dovrà necessariamente passare dalla creazione di progetti mirati per raggiungere queste persone. E' questo uno dei messaggi lanciati dagli epatologi italiani riuniti al congresso dell'American Society for the Study of Liver Diseases (AASLD) da poco conclusosi a San Francisco.

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EPATITE C: I DANNI NON SONO SOLO AL FEGATO

Curare un'infezione da epatite C non è solo questione di fegato. Gli effetti a lungo termine del virus, oltre a portare a cirrosi e carcinoma epatico, sono il diabete, l'insufficienza renale e problemi cardiovascolari. Eliminarlo è dunque fondamentale nella prevenzione di queste patologie. Sino a poco tempo fa la cura principe per l’epatite C era rappresentata dalla somministrazione di interferone e ribavirina, molecole che avevano successo in meno della metà dei casi e che si associavano a pesanti effetti collaterali che spesso costringevano medico e malato a sospendere la terapia. Una situazione di sostanziale fallimento fino al 2010, anno in cui proprio al congresso AASLD vennero annunciati i primi risultati sull'utilizzo di una nuova categoria di farmaci - gli antivirali ad azione diretta - destinata a cambiare la storia della malattia. 


GLI ANTIVIRALI FUNZIONANO NEL 99% DEI CASI

«Oggi grazie all'utilizzo di queste molecole - spiega il professor Giovanni Battista Gaeta, ordinario di malattie infettive alla Seconda Università di Napoli - possiamo eliminare definitivamente il virus in una percentuale che va dal 98 al 100% a seconda dei malati. Un risultato impensabile sino a qualche anno fa». Approvati nel nostro Paese a partire da dicembre 2014 - data di inizio delle somministrazioni di queste nuove molecole - a oggi sono 160 mila gli italiani trattati. Un numero che pone il nostro Paese tra i primi in Europa.

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ALLA RICERCA DEI PAZIENTI DA TRATTARE

Ma se sino all'inizio erano solo i pazienti più gravi ad accedere a questi farmaci, dal 2017 Aifa ha deciso di allargare i criteri di accesso a tutti gli individui positivi al virus. Ed è così che oggi, passata l'emergenza, cominciano a delinearsi le strategie future per eradicare la malattia. «Superata la fase critica - continua Gaeta - ora la priorità è quella di individuare sia il sommerso, ovvero chi non sa di essere infetto, sia chi non ha potuto ancora accedere alle terapie». Secondo una recente indagine di EpaC queste persone sarebbero tra i 71 e i 130mila. La quota principale del sommerso sarebbe rappresentata da tossicodipendenti (tra 29mila e 46mila) e da persone over65 (tra 35mila e 57mila) e, in percentuale inferiore, da persone sotto i 65 anni.

ERADICAZIONE POSSIBILE CON PROGETTI SPECIALI

Un sommerso che oggi può essere ricercato molto più facilmente di un tempo. Per farlo oggi occorre solamente una goccia di sangue o l'analisi della saliva per la ricerca degli anticorpi anti-epatite C. «E' evidente che ora i pazienti da trattare siano da ricercarsi al di fuori dei circuiti classici. Un esempio è la popolazione carceraria o quella che afferisce ai SerD. Per somministrare loro le terapie, ad oggi, l'iter previsto è quello di un paziente classico dove devono essere valutati alcuni parametri. Un iter che risulta difficile da seguire per oggettive difficoltà organizzative. Ecco perché occorre pensare a dei progetti mirati - e in regione Campania lo stiamo per fare - per semplificare l'accesso a queste persone», conclude Gaeta. 

 

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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