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Cardiologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 03-09-2019

Miocardite: la diagnosi con la biopsia può salvare la vita



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L'infiammazione acuta del cuore, nei giovani, può essere letale. L'esame istologico è dirimente per una corretta diagnosi delle forme più gravi. Ecco quando sospettarle

Miocardite: la diagnosi con la biopsia può salvare la vita

Quando un giovane scompare improvvisamente per un problema cardiaco, la causa è da ricercare in un ventaglio di possibili risposte. L'infarto del miocardio, prima dei 35 anni, è la meno frequente. Più probabile che a determinare il decesso possa essere invece una cardiomiopatia ipertrofica o aritmogenica. Se non quella che è l'origine meno nota di una possibile evoluzione fatale: la miocardite, responsabile del dieci per cento delle morti cardiache giovanili. L'aggettivo fulminante che caratterizza le infiammazioni più gravi sta a indicare che la malattia avrà una rapida evoluzione e potrebbe richiedere cure intensive nell'arco di pochi giorni. 


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BIOPSIA PER LE FORME PIU' GRAVI

Ecco perché, in queste situazioni, il trattamento deve essere quanto più accurato possibile. A patto che tale sia stata anzitutto la diagnosi. Il grave scompenso cardiaco - unito al dolore toracico, al senso di pienezza addominale, al batticuore molto intenso e a eventuali svenimenti - rappresenta la spia di quella che può essere una forma fulminante. Da soli, però, i sintomi della miocardite non bastano a porre diagnosi e a definire il rischio di un progressivo aggravamento. La biopsia, realizzata attraverso il prelievo di alcune porzioni del tessuto cardiaco, consente di effettuare una diagnosi più accurata, necessaria per evitare che con il passare delle settimane il paziente possa andare incontro alle conseguenze più gravi: il decesso (il rischio rimane alto almeno per i primi due mesi dalla presentazione) o la necessità di sottoporsi a un trapianto di cuore.

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La conferma dell'importanza della biopsia giunge da uno studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology. In maniera retrospettiva, i ricercatori hanno valutato il decorso di 220 pazienti ricoverati per una miocardite acuta in 16 ospedali degli Stati Uniti, del Giappone e di diversi Paesi europei. Non tutti i casi erano caratterizzati dalla massima gravità. Ma gli esperti hanno potuto osservare che, in quelli fulminanti, i tassi di mortalità e trapianto cardiaco erano più elevati rispetto a quelli registrati tra coloro colpiti dalle forme acute meno gravi. Un dato che conferma l'importanza dell'indagine istologica per fare luce sull'infiammazione. «Su 165 pazienti alle prese con una miocardite fulminante, quasi il trenta per cento era morto nei due mesi successivi all'ospedalizzazione o aveva subìto un trapianto di cuore - afferma Enrico Ammirati, dirigente medico della struttura complessa di cardiologia 2 insufficienza cardiaca e trapianti del Niguarda e prima firma della pubblicazione -. Nelle forme istologiche dette gigantocellulari, tra quelle con la prognosi peggiore, è necessario sottoporre i pazienti a una terapia immunosoppressiva con diversi farmaci. Riconoscere la gravità dell'infiammazione è perciò fondamentale per salvare loro la vita o ridurre il ricorso al trapianto».  


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CHI SONO I PAZIENTI A RISCHIO?

Quanto sia importante standardizzare questa procedura lo si capisce maggiormente quando si considera chi sono i pazienti più colpiti dalle miocarditi: principalmente giovani, con meno di 40 anni (anche bambini).  Statisticamente, gli uomini sono più colpiti. Ma quando si fa il confronto tra i casi più gravi, le donne raggiungono la parità di genere. Tra i possibili campanelli d'allarme, quello a cui occorre prestare maggiore attenzione è il dolore toracico. «In giovane età, è difficile che sia la spia di un infarto - prosegue lo specialista, che presenterà il lavoro anche nel corso del Congresso Nazionale di Cardiologia, in programma a Milano dal 23 al 26 settembre (promosso dalla Fondazione De Gasperis, ndr) -. Occorre perciò recarsi comunque in un pronto soccorso, soprattutto se il problema si manifesta pochi giorni dopo aver avuto un'influenza  o se si soffre già di una malattia autoimmune». In quest'ultimo caso, infatti, il rischio che il sistema immunitario «aggredisca» anche il cuore è più alto rispetto a quello della popolazione generale. In queste persone, se il dolore è accompagnato dalla mancanza di respiro e da un'eventuale aritmia, in assenza di rassicurazioni giunte dalle indagini diagnostiche (esami del sangueradiografia del torace, ecocardiogramma ed elettrocardiogramma), il ricorso alla biopsia deve essere tempestivo. 

BIOPSIE NEI CENTRI DI RIFERIMENTO

«L'esame standard per i casi a basso rischio per raggiungere la diagnosi di miocardite rimane la risonanza magnetica funzionale, che in alcuni casi non può però essere effettuata e che non dice nulla delle caratteristiche istologiche di un tessuto infiammato», conclude Ammirati. Ecco perché dirimente si rivela soltanto l'esame istologico, che a livello del miocardio non viene effettuato in tutti gli ospedali. «Questa non deve essere però una preoccupazione del paziente, a cui va consigliato di recarsi nel centro più vicino. Sarà compito dei colleghi, dopo l'iniziale osservazione e avendo eventualmente registrato i primi segni di una progressione dell'infiammazione, guidarne il trasferimento in una struttura di riferimento». 

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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