Chiudi
I nostri ricercatori
Fabio Di Todaro
pubblicato il 11-07-2019

Andrea Morandi, una vita dedicata alla lotta al tumore al seno



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Il ricercatore, sostenuto per tre anni da Fondazione Umberto Veronesi, è stato assunto dall'Università di Firenze. Incoraggianti i risultati degli studi sulla resistenza farmacologica nel tumore al seno

Andrea Morandi, una vita dedicata alla lotta al tumore al seno

Il suo obiettivo è definito: «Provare a rendere curabili tutte le forme di tumore al seno, a partire da quelle alimentate dagli estrogeni». Andrea Morandi, 37 anni appena compiuti, oggi è un ricercatore (tecnicamente, di tipo B) assunto dall’Università di Firenze. Lavora nel dipartimento di scienze biomediche sperimentali e cliniche diretto da Paola Chiarugi e si occupa di comprendere i meccanismi che determinano la resistenza alle cure antitumorali: nello specifico, delle terapie ormonali impiegate nel trattamento del cancro più diffuso tra le donne. È questo il primo passo da compiere, dal momento che «si continua a morire di tumore fondamentalmente per due ragioni: l’assenza di farmaci efficaci o la capacità dell’organismo di adattarsi ad alcuni di essi in modo da renderne vano l’effetto», afferma Morandi, per tre anni (dal 2016 al 2018) al lavoro grazie alle borse di ricerca erogate da Fondazione Umberto Veronesi. «Se oggi sono qua, lo devo anche alla fiducia nei miei confronti che mi ha permesso di dare una svolta alla mia vita: sul piano personale e professionale».

COME NASCE LA FONDAZIONE VERONESI? 

L’IMPEGNO PER IL TUMORE AL SENO

La chiacchierata con il ricercatore toscano viaggia lungo due binari paralleli, ma non così distanti: la lotta al carcinoma mammario e l’importanza del sostegno alla ricerca. Lui, di questi due argomenti, ne ha fatto una ragione di vita. Dopo una laurea in biotecnologie mediche (2006), ha conseguito il dottorato in oncologia medica, sperimentale e clinica (2010). Gran parte della sua formazione è avvenuta a Firenze, anche se è stata l’esperienza maturata all’Institute of Cancer Research di Londra (2009-2013) a portarlo ad assumere la decisione di studiare i meccanismi biologici che sono alla base dell’insorgenza e dell’evoluzione della neoplasia più frequente tra le donne. «Nella mia famiglia ci sono stati diversi casi di malattia, ma non è per questo che ho scelto di cosa occuparmi. Mi sono ritrovato a lavorare sul tumore al seno un po’ per caso, dopo essermi laureato con una tesi sul ruolo delle cellule staminali nell’insorgenza delle leucemie. Contemporaneamente al mio dottorato, stava partendo un progetto sul cancro della mammella. Tutto è iniziato così. Fondamentale poi è stata l’esperienza a Londra, dove c’è un dipartimento che fa ricerca esclusivamente su questo tumore».

Tumore al seno metastatico: ribociclib aumenta l'aspettativa di vita


EVITARE CHE LA MALATTIA «RIPARTA»

Da sei anni Andrea lavora sulle alterazioni metaboliche che, a distanza di tempo dall'intervento chirurgico, possono «rimettere in moto» la malattia. «Quando si parla di quel che resta da fare contro questa il tumore al seno, ci si concentra quasi sempre sul triplo negativo, per il quale non abbiamo soluzioni terapeutiche mirate, ma soltanto la chemioterapia. Ma un altro aspetto da considerare riguarda le recidive nelle forme sensibili agli estrogeni, che possono comparire anche molti anni dopo l'inizio del trattamento con il tamoxifene. Segno, con ogni probabilità, che il tumore ha la capacità di rimanere dormiente nell'organismo per poi risvegliarsi una volta terminata l'efficacia delle cure». La terapia endocrina ha cambiato il decorso del tumore al seno, ma oggi si sa che «nel tempo il quaranta per cento delle donne non risponde più al trattamento e manifesta recidive insensibili ai farmaci», prosegue Morandi. Capire quale sia la «molla» che rende la malattia insensibile ai farmaci ripresentarsi è diventato il fulcro della sua attività di ricerca. Da uno studio appena pubblicato sulla rivista Cell Reports è emerso che, nelle cellule «resistenti», si registra un aumento della concentrazione di un microRna (23b-3p) e del trasportatore del glutammato e dell'aspartato. «Oltre a rappresentare un possibile target per nuovi farmaci, il monitoraggio dei livelli di espressione di queste molecole può permettere di stabilire se un tumore presenti un rischio più alto di andare incontro a una recidiva».

«GRAZIE E ARRIVEDERCI»

Ottenuto questo risultato, Andrea ha intenzione di portare avanti la sua attività di ricerca sul tumore al seno. D'ora in avanti lo farà senza il supporto di Fondazione Umberto Veronesi, al quale ha potuto rinunciare grazie all'assunzione da parte dell'Università di Firenze. L'occasione è dunque propizia per tracciare un bilancio dell'esperienza accumulata tra il 2016 e il 2018. «L'incontro con la Fondazione Umberto Veronesi è stato cruciale. Senza il suo sostegno, il progetto difficilmente sarebbe andato avanti». Lavoro, ma non solo. Nel frattempo anche la vita privata ha subito due «scossoni», con le nascite di Giorgio (4 anni) e Marta (5 mesi). «Quando io e la mia compagna abbiamo deciso di rientrare da Londra, lo abbiamo fatto per allargare la famiglia. Se ci siamo riusciti, devo ringraziare anche chi mi ha sostenuto». Un plauso, Andrea, lo rivolge infine alla supervisione scientifica, «per avermi fatto sentire stimato e valorizzato anche nei momenti in cui ci sono state delle battute di arresto negli esperimenti».  

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina