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L'esperto risponde
Fabio Di Todaro
pubblicato il 09-03-2020

Donazioni e trapianti: indicazioni utili ai tempi del Coronavirus



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Controlli estesi a tutti i potenziali donatori per escludere il «contatto» con il Coronavirus. Maggiori cautele per i trapiantati, a rischio in caso di infezione

Donazioni e trapianti: indicazioni utili ai tempi del Coronavirus

«Potremo eventualmente essere sottoposti a un trapianto durante l'epidemia da Coronavirus?». La domanda è ricorrente, tra i quasi 9.000 italiani in attesa di ricevere un organo. Molti di loro si sentono «in sospeso», ma li si può rassicurare. La macchina delle donazioni e dei trapianti, in questi giorni, non si è mai fermata. E non lo farà, indipendentemente dal decorso dell'infezione nel nostro Paese. «Il momento è particolare, stiamo lavorando però per evitare qualsiasi contraccolpo», rassicura Massimo Cardillo, il coordinatore del Centro Nazionale Trapianti. «Per i pazienti già trapiantati o che affrontano l'intervento in questo periodo, occorre qualche cautela in più. Ma su un aspetto, loro e le loro famiglie, possono stare tranquilli: la sicurezza degli organi non è messa in discussione dal Coronavirus». 


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TRAPIANTI TRA LE PROCEDURE DI URGENZA GARANTITE

L'epidemia di Coronavirus in corso in Italia sta rivoluzionando l'attività degli ospedali. Quasi tutte le strutture hanno sospeso le procedure rinviabili per dare la priorità al trattamento dei casi di COVID-19 e delle altre urgenze. Tra queste rientrano anche i trapianti, che possono essere pianificati soltanto nel momento in cui la rete nazionale segnala la disponibilità di un organo e si accerta la compatibilità con uno dei pazienti in lista di attesa. Al contempo, si tratta di interventi che vanno completati il prima possibile, dato che gli organi non possono essere «conservati» a lungo. Il tempo di ischemia - l'intervallo durante il quale uno di essi può sopravvivere senza subire danni - è variabile. A resistere di meno è il cuore, «che va prelevato e reimpiantato nel ricevente entro 4 ore», aggiunge Cardillo. A seguire ci sono i polmoni (6 ore), il fegato (7) e i reni (12-16). Motivo per cui gli ospedali, una volta prelevato l'organo dal donatore, devono mettere subito in moto la «macchina» organizzativa che si concluderà con il reimpianto.

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DONATORI ESCLUSI SE POSITIVI AL CORONAVIRUS

L'epidemia in corso ha costretto il sistema delle donazioni e dei trapianti a rivedere i propri protocolli. La stretta, partita dalle prime colpite dal contagio (Lombardia e Veneto), è stata poi allargata all'intera Penisola. Così già da due settimane, nel momento in cui giunge una segnalazione dalla rianimazione di qualsiasi ospedale italiano, i potenziali donatori deceduti vengono sottoposti a un tampone rinofaringeo o al lavaggio broncoalveolare. Quest'ultima è una procedura che permette di individuare (eventualmente) il virus direttamente nelle basse vie respiratorie. In caso di positività a uno dei due esami, si procede anche alla ricerca degli anticorpi direttamente nel siero. «I risultati di queste  indagini devono essere disponibili prima di procedere al trapianto di un organo - chiarisce Cardillo -. In caso di conferma del contagio, il potenziale donatore viene escluso». Si tratta di una misura precauzionale. Al momento, infatti, non è mai stata documentata la trasmissione del virus mediante la donazione di organi, tessuti e cellule. E il rischio che ciò possa accadere non è noto. 


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ACCERTAMENTI ANCHE SUI DONATORI VIVENTI

Cardillo, già alla guida dell'unità operativa di coordinamento trapianti dell'ospedale Maggiore Policlinico di Milano, conferma che le stesse precauzioni vengono in questo momento adottate anche sui donatori viventi di organi quali il rene o il fegato (in parte), di tessuti (cornea, osso, cute, valvole e membrana amniotica) e di cellule staminali emopoietiche. Pure in questo caso l'eventuale positività è considerata motivo di esclusione dalla donazione. L'unica eccezione nel protocollo è prevista per i pazienti oncologici colpiti da una leucemia, da un linfoma o da un mieloma. Nel caso in cui debbano sottoporsi a un autotrapianto di staminali emopoietiche, eventualità che più di rado riguarda anche chi è colpito da un tumore solido, il tampone non viene richiesto, «a meno che le condizioni del paziente non lo rendano necessario», è quanto riportato nella circolare diffusa dal Centro Nazionale Trapianti il 3 marzo.


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MAGGIORE SICUREZZA PER CHI SI SOTTOPONE A UN TRAPIANTO

Il protocollo più rigido garantisce la massima sicurezza dei trapianti, in un periodo di emergenza come questo. Nei giorni scorsi si è saputo che un paziente sottoposto a un trapianto di polmone a Padova è stato trasferito a Napoli per il prosieguo delle cure. Una scelta resasi necessaria per evitare la degenza nella terapia intensiva di un policlinico chiamato a far fronte ai casi più gravi di COVID-19 provenienti dal focolaio di Vo' Euganeo. Nel complesso, dunque, il sistema sta reggendo l'urto. Ciò non toglie però che la pressione a cui sono sottoposti gli ospedali possa rappresentare un limite per i trapianti. D'altra parte, a eccezione di chi riceve un rene, «tutti i nostri pazienti hanno bisogno di un periodo di degenza in terapia intensiva - prosegue Cardillo -. Anche per questa ragione, dunque, è necessario attenersi alle indicazioni delle autorità sanitarie per ridurre i contagi». Meno pazienti affetti da COVID-19 necessitano di cure ad alta intensità, più il sistema è in grado di accogliere chi affronta un trapianto d'organo


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In un momento di emergenza come quello in corso, ai pazienti trapiantati viene chiesto di adottare qualche cautela in più. Vista la necessità di sottoporsi alla terapia immunosoppressiva, i rischi legati a un eventuale contagio per loro sono inevitabilmente più alti. Perciò il Centro Nazionale Trapianti raccomanda di «evitare luoghi di grande assembramento di persone e di utilizzare dispositivi di protezione individuale come le mascherine)». Secondo Cardillo, in questa fase i pazienti trapiantati di tutta Italia (recenti e non) dovrebbero «limitare le visite domiciliari» ed «evitare il contatto con parenti e amici con sintomi respiratori o provenienti dalle aree più colpite dall'epidemia». Alle Regioni spetta invece il compito di «assicurare loro la continuità di cura e la presenza di percorsi di accesso alle strutture ospedaliere che minimizzino il rischio di trasmissione del Coronavirus». 

 

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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